Con la pandemia si assiste all’acume delle aggressioni nei confronti degli operatori sanitari.
Gli infermieri sono i professionisti della Sanità più di frequenti soggetti a atti di violenza sugli operatori sanitari poiché sono loro ad avere il primo contatto col paziente o i suoi familiari.
L’89% è stato vittima di violenza sul lavoro e nel 58% dei casi si è trattato di violenza fisica: hanno subito violenza in generale sul posto di lavoro circa 180mila infermieri e per oltre 100mila si è trattato di un’aggressione fisica. Spesso vittime di aggressioni da coloro che non potevano avvicinarsi ai propri parenti degenti durante la pandemia, in particolar modo dai no-vax.
Di tutte le aggressioni al personale sanitario secondo l’INAIL, il 46% sono rivolte a infermieri e il 6% a medici. Quindi le aggressioni a infermieri sarebbero circa 5.000 in un anno (anche se spesso quelle verbali non sono neppure denunciate), 13-14 al giorno in media senza considerare il grande numero di tutte le mancate denunce.
Lo studio
A tal fine, con il co-finanziamento della FNOPI, è stato realizzato da otto Università italiane lo studio nazionale multicentrico sugli episodi di violenza rivolti agli infermieri sul posto di lavoro (ViolenCE AgainSt nursEs In The workplace CEASE-IT).
Dalla ricerca emerge che più della metà (il 54,3%) ha segnalato l’episodio, ma chi non l’ha fatto (l’altra metà dei professionisti coinvolti) omette la segnalazione poiché nel 67% dei casi ha ritenuto che le condizioni dell’assistito e/o del suo accompagnatore potessero spiegare la sua condotta, nel 20% era convinto che non avrebbe sortito nessuna risposta da parte della struttura in cui lavora, il 19% ritiene che il rischio sia una caratteristica attesa/accettata del lavoro e il 14% non lo ha fatto perché si sente in grado di gestire autonomamente questi episodi.
I fattori di rischio
I principali fattori di rischio sono legate alle aspettative dei familiari e ai lunghi tempi di attesa nelle zone di emergenza, che portano a danni fisici, ma anche disturbi psichici, negli operatori che subiscono violenza. A questo concorrono le notizie spesso scandalistiche e molte volte false, sui servizi sanitari, che creano a priori un’aspettativa negativa nei confronti dei servizi, che a sua volta fomenta la frustrazione e la rabbia e mina il rapporto di fiducia tra cittadini e operatori”.
Le conseguenze
Le conseguenze di un’aggressione ci sono nel 24.8% degli infermieri che ha segnalato violenza negli ultimi 12 mesi, con un danno fisico o psicologico, e per il 96.3% il danno è a livello psicologico, compromettendo spesso anche la qualità dell’assistenza. Il 10.8% dichiara poi che i danni fisici o psicologici hanno causato disabilità permanenti e modifiche delle responsabilità lavorative o inabilità al lavoro.
La conseguenza professionale prevalente riguarda il “morale ridotto” (41%) e “stress, esaurimento emotivo, burnout” (33%).
“La prevenzione degli episodi di violenza a danno degli operatori sanitari – dichiara Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI – richiede che l’organizzazione identifichi i fattori di rischio, diffonda una politica di tolleranza zero verso atti di violenza nei servizi sanitari, incoraggi il personale a segnalare prontamente gli episodi subiti e a suggerire le misure per ridurre o eliminare i rischi e faciliti il coordinamento con le Forze dell’ordine o altri oggetti che possano fornire un valido supporto per identificare le strategie per eliminare o attenuare la violenza nei servizi sanitari.”.
Contro la violenza, in particolare sulle donne che nella professione infermieristica sono quasi il 77% dei professionisti, FNOPI ha anche aderito alla campagna di sensibilizzazione e di promozione della salute #LOTTOcontrolaviolenza da poco avviata da Federsanità ANCI e Asl di Viterbo.
di Marino Ceci