Pier Paolo Pasolini, nato a Bologna il 5 marzo 1922 e morto in strane circostanze a Roma il 2 novembre 1975, è considerato uno dei maggiori intellettuali italiani del dopoguerra. Considerato un mostro sacro della cultura italiana, Pasolini è stato un un poeta, sceneggiatore, attore, regista, scrittore e drammaturgo, ma ha anche dato contributi come pittore, linguista, traduttore e saggista.
La grande capacità di Pasolini era quella di osservare, comprendere e descrivere i cambiamenti della società italiana durante il suo periodo di attività, ossia dal dopoguerra alla metà degli anni ’70. Nonostante sia stata una figura controversa, non a caso suscitava spesso e volentieri, con i suoi commenti o le sue opere, dibattiti e polemiche, è stato anche colui che meglio ha capito il cambiamento e i problemi della società italiana.
Suoi sono i commenti più caustici e precisi sulle abitudini borghesi e sullo sviluppo della società dei consumi, anche se fu critico anche verso il Sessantotto e i protagonisti di quel movimento. La sua penna riusciva ad analizzare in maniera cristallina e precisa, oltre che con uno stile estremamente interessante, tutti i problemi dell’evoluzione della società, quelli dell’epoca e quelli che avrebbe potuto creare.
Questa, forse, è stata la sua grande maledizione. Una maledizione sulla sua eredità. Ricordato come persone in grado di catalizzare polemiche, ricordato per la sua omosessualità, ricordato per le sue opere cinematografiche, ma il più grande contributo di Pasolini fu l’analisi dei tempi in cui viveva. Un’analisi giornalistica e saggistica che vive ancora oggi alla luce del sole attraverso i suoi scritti, ma che viene ignorata per concentrarsi su altro.
Che sia stata ignorata e venga ignorata ancora oggi per scelta o per caso, sinceramente, non saprei dirlo con certezza.