La leggenda dell’istituto E. Mannucci di Ancona

La leggenda si discosta dalla favola, con la sua forza temporale, non soltanto legata alla verità. Solida, fin dentro la memoria di un popolo, si lascia tramandare con la naturalezza della sua stessa narrazione, di padre in figlio, talvolta per secoli.

Speriamo che la leggenda che riguarda l’istituto d’arte Mannucci, non inciampi nella memoria collettiva, soprattutto ci sia augura che non sia troppo reale, perché quando c’è di mezzo la scuola, quando in primo piano ci sono il mondo dell’educazione ed il destino di molti giovani studenti, la cosa si fa seria.

La stessa leggenda narra di un istituto, quello del Mannucci, che si muove faticosamente all’interno di un contesto di per sé già lesivo, visti i pregiudizi nei riguardi dei giovani dall’aspetto spesso estroso, come lo sono d’altronde  gli amanti dell’arte e gli stessi artisti, ma se a capeggiarlo è un preside (una lei) poco sensibile e attento alle problematiche dei giovani, come alla devozione degli insegnanti che si adoperano per il loro futuro, l’intera impalcatura si arena in un inevitabile danneggiamento. Un impatto sociale, educativo, comunicativo, relazionale, di apprendimento, non indifferente, che getta scompiglio e danni a volte irreversibili. La leggenda narra di un preside poco sensibile ai sani propositi sia degli insegnanti che degli allievi, frutto di passione e di interesse al mondo dell’arte, della cultura, della formazione. Si vocifera che la grande tela della leggenda ci riveli tristemente e senza colori, una persona, la preside, che frena e ostacola ogni forma di percorso volto alla crescita ed alla condivisione, scatenando insofferenza e perfino abbandoni da parte di docenti, non soltanto di studenti affranti e schiacciati da un regime che tiene conto piu della valorizzazione dei materiali altamente tecnologici, piuttosto che della conservazione delle opere degli studenti.

Si narra che la stessa preside abbia perfino gettato al macero opere tenute in memoria di un giovanissimo studente deceduto a causa di un incidente e per il quale sia i professori che gli studenti nutrivano profondo affetto.

Un’emergenza, questa, che ha visto l’intervento da parte della Regione Marche, ma priva di un seguito positivo che tenesse conto del disagio vissuto  da tutti e per un tempo decisamente prolungato, tanto quanto basta per demolire serenità ed entusiasmo.

La leggenda narra di perquisizioni personali nei confronti dei giovanissimi, alla ricerca non si sa bene di cosa, come di denigrazione degli stessi in sedi di riunioni con insegnanti esterni, in modo da etichettarli anticipatamente e così condizionarne il giudizio circa il rendimento. Una sorta di caserma e di regolamenti anarchici che valorizzano piú una lavagna multimediale che l’amore per uno studente. Queste le caratteristiche di una dimensione quasi surreale e che, se fosse vera, farebbe accapponare la pelle perfino a Don Milani nella sua tomba.

Le leggende hanno il potere di immortalare tutto, ma anche di distruggere la reputazione di un luogo carico di creatività e fantasia, di amore, cura, bellezza, che sono l’ossigeno, l’energia, la linfa, per qualsiasi essere vivente. Soprattutto per chi ha a cuore l’esistenza dei giovani ed il loro benessere.

Eleonora Giovannini

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