Ad inizio anno, un molare, che venne alla luce dal permafrost siberiano, riportò l’attenzione sui mammut. Un successivo studio, pubblicato su Nature, da parte di un team internazionale di ricercatori, guidato dagli scienziati del Centre for Palaeogenetics di Stoccolma, aveva analizzato il Dna di tre diversi mammut, risalenti a oltre un milione di anni fa. Fu un record sia per la biologia molecolare che per la storia di questo animale estinto.
Resterà tale?
In questi giorni, si è diffusa una notizia che sembra pura fantascienza: riportare in vita il mammut. Nella società Colossal, George Church, genetista americano della Harvard University, vuole ricreare in laboratorio il mammut lanoso, una specie scomparsa oltre 4.000 anni fa. Questo sarebbe possibile grazie al Dna che i ricercatori sono riusciti a estrarre, come si è ricordato, dal permafrost, incrociandolo con quello di un elefante asiatico.
“Il nostro obiettivo è avere i primi piccoli nei prossimi quattro-sei anni”, spiega il co-fondatore di Colossal, Ben Lamm.
L’investimento, di circa 12,7 milioni di euro, dovrebbe dare nuovo slancio a un piano che prima era secondario, come ricorda lo stesso Church.
Il team di scienziati ha analizzato i genomi di 23 specie di elefanti viventi e mammut ormai estinti e sono giunti alla conclusione che dovranno programmare, contemporaneamente, “più di 50 modifiche” al codice genetico dell’elefante asiatico, per dargli le caratteristiche necessarie per vivere nell’Artico.
Church spiega, per esempio, che dovrebbe avere delle orecchie più piccole e uno strato di grasso isolante di dieci centimetri, per sopportare meglio il freddo.
La motivazione di far rivivere il mammut non ha però solo uno scopo scientifico, ma anche ambientale. Infatti, secondo il team di scienziati, questi nuovi mammut potrebbero contribuire a ripristinare gli ecosistemi artici, contrastando gli effetti del riscaldamento globale e l’emissione di nuova anidride carbonica, il principale gas serra.
Non mancano delle perplessità e dei dubbi a riguardo dell’ambizioso progetto.
Per il momento, quel che c’è da fare è preservare prima gli elefanti asiatici, specie a rischio e magari poi, sviluppare una specie che possa richiamare i loro antenati.
Potremo migliorare solo dopo aver imparato a valorizzare quel che già abbiamo…
Riccardo Pallotta