Esistono informazioni e approfondimenti culturali che sul web non si trovano attraverso iniziative spontanee ed individuali, ovvero senza l’ausilio di un percorso. Non sto asserendo che il web sia sprovvisto di libri utili e formativi, ma che trovarli implica un impegno, una scelta, nel cui ambito possiamo essere orientati ad approfondire la nostra conoscenza seguendo un criterio necessario se non si vuole restare confinati nell’approssimazione e nella genericità. Soltanto i testi di studio vero e proprio che le stesse università forniscono ai propri studenti, possono formare in maniera armonica e precisa, secondo un principio didattico che non ha niente a che vedere con la lettura casuale e il più delle volte rallentata o demolita da un’esistenza i cui ritmi, i cui messaggi, le cui tendenze, si discostano da quel processo costante, intimo, consapevole, che è la cultura.
“La cultura è l’insieme di tutte le forme d’arte, di amore e di pensiero che, attraverso i secoli, sono state realizzate dall’uomo” sosteneva Emile Zola, ricordandoci il suo grande potere di elevazione totale dell’umanità. Tutte le definizioni di cultura rimandano all’evoluzione, alla crescita, al miglioramento, all’umanizzazione di ogni esistenza, non di meno al risveglio individuale e sociale che si connota come presupposto di sviluppo del pensiero e di benessere. Per Thomas Mann è “la via maestra per la felicità degli uomini”. E cosa vuol dire essere felici se non pienamente realizzati? La promessa di un futuro gioioso garantita dal tecnicismo ha prodotto al contrario ansietà, paura, incertezza, frenesia, desiderio di perfezione, inadeguatezza di fronte ad aspettative incessanti. Questa dolorosa tensione ha generato l’effetto del criceto che avanza nella sua ruota, mentre la strada che percorre non ha mete, nonostante si sfinisca dentro la sua infinita corsa. Dove crede di recarsi questo criceto che è l’essere umano odierno? Per quale ragione continua a correre e non si ferma? E corre per raggiungere un posto o corre per automatismo? Pasolini avrebbe risposto affermando che “la cultura è l’unico campo di battaglia su cui è possibile vincere senza spargimento di sangue”, perché, avrebbe continuato Calvino, “ è ciò che ci permette di avere una visione completa del mondo”; essa “non è un lusso, ma una necessità per l’umanità” (Croce).
La fuga degli intellettuali dal mondo è un chiaro segnale di disagio e di distacco comunicativo profondo, che pone da un lato l’indignazione e il disprezzo dell’uomo di cultura involgarito dal suo vuoto di nicchia, dall’altro il malcontento apatico e approssimativo, tipico di una popolazione assuefatta dai dormitori del magico mondo di TikTok e dal suo magnetico mordi e fuggi mentale, dove si pascola nell’inerzia. Eppure, un modo per convincere le persone che attraverso la conoscenza possono sgusciare via dal torpore immobile dell’infelicità, di quel malessere che non si riesce ad identificare proprio per carenza di mezzi e perché la visione dei sensi si è a loro insaputa arrugginita, deve esserci. In che modo è possibile determinare l’impulso a destarsi dall’ipnosi del successo come unica alternativa per una vita soddisfacente? La consapevolezza non è certo una pillola contro il male di vivere e non è fabbricabile, in quanto determinabile soltanto dentro di noi. È la farfalla di Thoureau, che “più la inseguirai più ti sfuggirà, ma se sarai occupato nella cura delle altre cose, verrà e si poserà sulla tua spalla”. L’ottica del possedere, tipica del tecnicismo, invita ad acciuffare la farfalla, sciupandola e perdendola, poiché la cura delle altre cose riguarda l’impegno, la dedizione, la pazienza nel costruire, dovendo a volte attendere tutta la vita nella speranza di vedere la farfalla posarsi sulla nostra spalla, anche solo per un momento, scoprendo che la sua permanenza potrà essere imprevedibilmente breve, contro ogni nostra fatica. Ed è appunto quell’attesa la vera conoscenza, un aspettare infinito, diligente e fiducioso, libro dopo libro, aspettando che la farfalla torni o sperando di non perderne bellezza e memoria.