Sul palco del Mou a Milano in via Pacinotti 4 si esibisce la cantautrice domenica 19 maggio 2024
Irene Manca è in concerto a Milano sul palco del Mou domenica 19 maggio 2024. È l’evento conclusivo della quinta stagione della rassegna canora “Because the Night – La notte delle cantautrici”. Irene Manca, interprete, chitarrista, cantautrice genovese, in attività dal 2011 ha studiato canto con Giulia Ottonello. Già voce e chitarra della band The Strummers, Irene Manca vanta numerose collaborazioni con artisti della scena genovese e non. Al momento sta lavorando con Carbone all’arrangiamento di altri brani, nell’ottica della pubblicazione di un terzo singolo e, successivamente, di un Ep. Irene Manca innesta su una base pop-esistenzialista una commistione di folk cantautorale, alternative rock e progressive.
Irene, c’è una peculiarità distintiva nella tua musica?
«Credo che una peculiarità possa essere data dalla commistione di generi apparentemente distanti tra loro. La scrittura alla base mette insieme pop e folk cantautorale, specialmente con riferimento alle linee vocali, mentre le principali influenze vengono dall’alternative rock e dal progressive. Queste influenze sono più evidenti negli arrangiamenti in full-band (e quindi nelle produzioni), dove le sonorità delle chitarre prendono dal mondo rock e metal, e la parte ritmica attinge dal progressive. Un esempio lampante di queste caratteristiche è Just Like Water, il mio secondo singolo, che presenta una linea vocale molto melodica, a tratti eterea, sonorità simili a quelle ricercate da band come i Tesseract e una interessante polimetria (elementi elaborati con il produttore Simone Carbone, che cura gli arrangiamenti, e con il batterista Marco Fuliano). Riguardo a questa polimetria, tengo a specificare un fatto simpatico: la linea ritmica in 5/4 è stata realizzata registrando Marco che batteva le mani e che “suonava” mobili della casa, alla ricerca del suono perfetto. Quindi sì, direi che commistione di generi e ricerca sonora sono forse gli elementi più peculiari».
Perché scegli il folk cantautorale?
«In realtà non lo scelgo: è alla base della mia identità musicale. Mi spiego meglio: il mio approccio folk cantautorale scaturisce dal momento che compongo con la chitarra acustica in mano. Come dico spesso, io sono una di quelle “cantautrici che si accompagnano con la chitarra”, quindi tendo naturalmente a quel genere di scrittura. Ci dicevamo, con Simone, che le buone canzoni “funzionano” anche solo chitarra e voce, e io non riesco a pensare a un genere che sia più rappresentato da questa idea. Credo, comunque, che i motivi del mio legame identitario con il folk cantautorale sia dato anche dal fatto che molti degli artisti che più mi influenzano rappresentino le più disparate espressioni del genere (penso, da buona Genovese, al cantautorato di De Andrè, base della mia educazione musicale, o ad artisti indipendenti attuali che amo come Lizzy Mc Alpine). Ma credo, inoltre, che il folk cantautorale costituisca un ottimo anello di congiunzione tra i tanti generi che più mi rappresentano: mi viene in mente De André riarrangiato dalla PFM, o Steven Wilson dei Porcupine Tree che scrive brani progressive rock con strofe basate sull’accompagnamento di una chitarra acustica. Se, quindi, è vero che le canzoni folk funzionano anche solo chitarra e voce, è vero anche che possono poi assumere le vesti più disparate in termini di arrangiamento».
Che ruolo assume la musica nella società?
«È una domanda molto vasta, ma siamo sicuri che io abbia il titolo per rispondere? A parte le battute, posso chiaramente dare un’opinione personale. Parto con un punto di vista un po’ pessimistico: la musica, per come la vedo nella ricezione del grande pubblico, assume sempre di più la funzione di contorno. Non che non sia mai stato così (o che questa sia necessariamente una questione negativa), ma vedo oggi che, specialmente da un punto di vista “commerciale”, essa esista quasi solo in funzione di altro: del talent, del reel su Instagram, del festival della canzone italiana il cui punto centrale tende spesso a essere comunque altro rispetto alla musica. Mi piace però pensare che questa funzione di “contorno” garantisca alla musica la costante presenza nella vita delle persone e che, tutto sommato, senza di essa, tutto il resto non possa esistere. I giovanissimi rappresentano invece ancora una fetta di popolazione profondamente legata alla musica. I generi che più ascoltano li fanno sentire rappresentati, e questo mi fa pensare che il ruolo sociale della musica non sia necessariamente morto. Laddove l’arte tocca la vita della gente, secondo me, c’è speranza che essa possa ancora essere strumento di cambiamento».
Le collaborazioni con altri musicisti in che modo rafforzano la tua cultura musicale?
«Partiamo da un presupposto: io sono estremamente fortunata perché ho, tra i miei più cari amici, diverse persone con una preparazione musicale elevatissima, una grande professionalità e tanto da dire. La bellezza di questa mia fortuna è data quindi specialmente dal fatto di poter collaborare con persone che, in primis, mi fa piacere avere intorno. Divertirsi e godersi le esperienze musicali non può che essere positivo e proficuo. Parlando del mio progetto di inediti, le persone con cui collaboro al momento sono Simone Carbone, Marco Fuliano e Giada Bassani (violino). Si tratta, oltre che di miei strettissimi amici, di tre persone con universi musicali vastissimi alle spalle. Permettere loro di mettere le mani sui miei brani mi regala la possibilità di crescere, ampliando i miei orizzonti artistici, la mia capacità di immaginare direzioni nuove per i miei brani e la mia capacità di essere elastica nel vedere che questi assumono una forma diversa da quella che avevo inizialmente pensato. Stando accanto a loro imparo tanto, dagli aspetti più tecnici a quelli relativi alla vita del musicista. Giada mi dimostra quanto la preparazione tecnica paghi, ma anche come essa deve essere accompagnata dalla capacità di ascoltare e di saper trasmettere. Marco mi dice sempre che un musicista non deve mai smettere di studiare, e, oltre a dimostrare che si può fare musica tamburellando sulla barra per le trazioni, mi spinge molto a concretizzare. Simone mi insegna a vedere i miei brani sotto punti di vista totalmente diversi da quello iniziale, e sa guidarmi nella registrazione delle voci per riuscire ad esprimere al meglio quello che lui sa che voglio dire. Ho inoltre una collaborazione fissa con la mia amica Francesca Barberis, pianista e cantante con cui portiamo in giro cover folk, sotto il nome del duo “Missing Barbers”. Questa collaborazione per me è veramente importante, non solo per l’amicizia che mi lega a Francesca, ma anche perché con lei facciamo un lavoro di riarrangiamento che ci mette davanti alle nostre diverse sensibilità, permettendoci di creare, per quel progetto, un’identità nuova e di portarsi, ciascuna nel proprio percorso individuale, tanti pezzetti l’una dell’altra. Questa collaborazione sta anche dando vita a brani inediti, permettendomi di esplorare, dal punto di vista della scrittura, un altro lato di me. Insomma, collaborare con altri vuol dire crescere. Se in più si collabora con amici di questo calibro, se ne trae un’esperienza umana meravigliosa».
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Francesco Fravolini