Di recente, si è parlato di vino invecchiato nello spazio, come nuova frontiera della ricerca che fonde la scienza alla gastronomia. Il mondo, però, è già a conoscenza di un metodo non convenzionale per l’invecchiamento della preziosa bevanda. Non tutti sanno, infatti, che esistono in diversi paesi produttori che invecchiano il proprio vino sott’acqua.
Alla base di questo bizzarro processo c’è il convincimento che il mare offra migliori condizioni per l’invecchiamento del vino, rispetto ad una tradizionale cantina, perché in grado di rispettare maggiormente le qualità organolettiche del prodotto.
Pare che questo trend sia costantemente in crescita; sembra, infatti, che sempre più produttori si convertano all’invecchiamento sottomarino del vino. Tutto questo sarebbe dovuto al particolare microclima che l’ambiente sottomarino è in grado di garantire con: la sua temperatura costante; l’assenza totale di luce e di ossigeno; il movimento costante e dolce dell’acqua; l’isolamento dalle “fasi lunari”. Ovviamente, questa pratica così ricercata non è destinata a normali vini da tavola di tutti i giorni, ma alla creazione di prodotti speciali, in grado di raggiungere prezzi esorbitanti. Dei veri e propri pezzi da collezione che vengono presentati all’acquirente con tanto di incrostazioni marine sulla bottiglia.
Nel territorio italiano, la pratica ha preso così tanto piede da portare alla creazione del consorzio Undersea Wines, al fine di tutelare questo metodo di invecchiamento e di approfondire l’effetto dell’ambiente sottomarino sul vino.
In Italia, ricordiamo tra i pionieri di questo procedimento l’azienda vinicola Bisson, la Tenuta del Paguro di Brisighella, la Cantina Santa Maria La Palma… Tanti altri produttori di vino “sottomarino” sono poi sparsi in tutto il modo.
Glenda Oddi