Il Taj Mahal tra misteri e segreti

Appare in tutta la sua bellezza ed il suo stridente fascino lo splendido Taj Mahal, glorioso mausoleo islamico che il quinto imperatore della dinastia dei Moghul (1526-1858), Shah Jahan (1627-1658), dedicò alla sua amata sposa Arjumand Banu Begam, soprannominata Mumtaz Mahal (l’eletta del Palazzo) o, appunto, Taj Mahal (la Corona del Palazzo). Sorge ad Agra, caotica città dell’India del nord, a circa 250 km da Delhi ed è un luogo visitato da turisti, studiosi e sposi in viaggio di nozze. Stando alla leggenda, infatti, esso è il frutto di una grande storia d’amore conclusasi tristemente. L’imperatrice sarebbe morta di parto nel 1631 a Burhanpur nel Deccan dove aveva seguito il marito in una spedizione militare dando alla luce il loro quattordicesimo figlio.

L’imperatore, impazzito per il dolore, intraprese l’edificazione di questo mausoleo, in marmo bianco di Makrana cangiante a seconda della mutevole ora del giorno, decorato con un tripudio di motivi floreali ed iscrizioni coraniche, che durò dai diciassette ai ventidue anni, con circa ventimila operai ed esperti provenienti da ogni parte dell’India e, probabilmente, del mondo non esclusa l’Italia con il veneziano Geronimo Veroneo. Si narra che, una volta ultimato il magnifico complesso, l’imperatore avesse fatto tagliare le mani ai capimastri, le teste agli architetti ed accecare i calligrafi affinché non creassero niente di simile al Taj.
Come seguendo un processo di purificazione spirituale, dopo aver abbandonato il caotico e misero mondo esterno, si entra, attraverso un imponente portale d’ingresso, in un giardino quadripartito (char bagh) grazie all’intersezione di canali di irrigazione che si incontrano in una fontana centrale. Tale forma di impronta persiana simboleggiava il Paradiso sulla terra. In fondo, reso ancora più affascinante da un ricercato effetto prospettico che lo fa apparire come un piccolo blocco di marmo, appare il mausoleo racchiuso tra una moschea e un mihman khana, ossia un luogo per ospitare i pellegrini, meglio noto come jawab (risposta), per rispettare la simmetria dell’insieme, entrambi in arenaria rossa.
Il Taj Mahal si affaccia, nella sua porzione nord, sulle acque del fiume Yamuna, sacro agli induisti, e la tradizione ricorda romanticamente che Shah Jahan avesse intenzione di edificare per sé, sulla riva opposta, un identico mausoleo in marmo nero collegato per l’eternità con quello della moglie grazie a un ponte d’oro.
Il mausoleo di Arjumand sorge su una grande piattaforma quadrata ai quattro angoli della quale si stagliano altrettanti minareti, sormontati ciascuno da un chioschetto a cupola, leggermente inclinati verso l’esterno affinché, in caso di terremoto, non cadano sulla struttura principale, un cubo dagli spigoli tagliati che assume la forma di un ottagono. Le quattro facciate sono tutte composte da un arco centrale e la superba cupola bulbosa, doppia, circondata da altre minori, è coronata da una corolla di fiore di loto, sormontata da un pinnacolo ora di ottone, ma un tempo d’oro.
Dopo aver lasciato le scarpe fuori, in segno di rispetto, si accede all’interno dove vi sono otto stanze minori che ne circondano una ottagonale, maggiore, su due piani, nella quale ci sono i cenotafi vuoti dell’imperatore e di sua moglie ornati profusamente con un pregiato lavoro di intarsio di pietre preziose.

Nel tempo il Taj Mahal ha subito l’incuria dell’uomo con svariati saccheggi. Durante il dominio inglese il giardino fu adibito a luogo di ritrovo ed intrattenimento sino a volerlo demolire per riciclarne gli ornamenti.
Ai nostri giorni l’inquinamento e le polveri sottili stanno ingiallendo questo capolavoro definito dal poeta indiano Rabindranath Tagore “Una lacrima di marmo ferma sulla guancia dell’eternità”.

Bruna Fiorentino

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