Il silente legame tra un donatore di organi e il trapiantato che ritorna a vivere

La vita di un “trapiantato” non gode delle stesse certezze di chiunque altro, egli conosce bene il filo trasparente su cui poggiano i piedi dell’umano, quel filo dal quale si può cadere perdendo l’equilibrio. Per equilibrio si intende tutta una serie di componenti legate alla dimensione dell’Io, come il senso di precarietà costante, la paura, il bisogno di essere capiti, amati più che mai, sostenuti emotivamente. 

La persona che ha subìto un trapianto di solito ha un bagaglio personale non trascurabile che a volte dura per anni e che inizia con la scoperta della propria malattia da capire, accettare, affrontare, tra speranze e rassegnazioni che oscillano all’impazzata, tra la  paura di non farcela e il desiderio di vivere.

Un trapiantato è felice quando arriva il fatidico momento della chiamata, perché qualcuno in qualche parte del mondo ha smesso di vivere e ha dato un senso alla sua stessa morte donando una parte di sé ad un fratello sconosciuto.

Non tutti riescono a raggiungere questo obiettivo, c’è chi è costretto a ricominciare tutto dall’inizio, tornare in lista di attesa, facendo i conti ancora una volta con la depressione, con l’abbattimento psicologico, con stati di depressione ovvi.

Quando alla fine tutto si risolve, il paziente avverte chiaramente che gli è stata concessa la possibilità di condurre una vita normale, come fosse un dono del quale fare tesoro per sempre.

Capita poi che insorge nel proprio cuore la curiosità o forse il bisogno di conoscere il nome del donatore al quale ci si ritrova inevitabilmente legati in maniera carnale, un percorso comprensibile anche se talvolta pericoloso, nei casi in cui ciò avviene. Il possibile incontro tra i familiari del donatore e il trapiantato, può innescare infatti meccanismi di eccessivo attaccamento, laddove chi soffre per la perdita del proprio caro può percepirne la continuità proprio attraverso la persona che ha ricevuto l’organo che gli ha restituito la vita.

La vita di un trapiantato resta innegabilmente ricca di un input in più, perché porta con sé la duplice dimensione di amore di due vissuti, quello di chi ha ritrovato la speranza di proseguire il suo viaggio sulla terra e quello di chi la terra l’ha lasciata sapendo di non averlo fatto invano. Quello che conta è l’inesprimibile nulla tra un fiore colto e l’altro donato.

Eleonora Giovannini

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