Il burnout, una sindrome ancora poco conosciuta

Alcune professioni, più di altre, sottopongono la persona a un forte stress emotivo che, quando
è troppo intenso, tende a far insorgere una sindrome denominata burnout.

La sindrome del burnout è stata scoperta negli anni ’80 dalla dott.ssa Maslach, che l’ha inizialmente individuata nell’ambito delle professioni socio-sanitarie. Il termina burnout è traducibile come “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”, in riferimento ad un crollo fisico e mentale del soggetto. La Maslach definisce tale sindrome come una reazione alla tensione emozionale cronica generata dal costante contatto con altre persone, in particolar modo quando queste sono in una condizione di sofferenza. Il burnout è dunque un estremo tentativo di difesa della psiche che, non riuscendo più a reggere la tensione a cui è quotidianamente sottoposta, si “spegne”. Le tre condizioni caratteristiche della sindrome infatti sono: esaurimento emozionale, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale. L’esaurimento emozionale si manifesta con una sensazione di totale perdita di energia con conseguente terrore di affrontare una nuova giornata di lavoro; la depersonalizzazione, invece, con un atteggiamento di repulsione e indifferenza verso le richieste provenienti dall’ambiente professionale, distacco e mancanza di sensibilità alle problematiche umane; la ridotta realizzazione professionale comporta, infine, una sensazione di fallimento e la tendenza all’autosvalutazione.
Gli studi della Maslach sono stati ripresi e approfonditi negli anni ‘90 dal dott. Kristensen e dalla sua equipe.
Questi hanno messo in luce come tale sindrome non può trovare origine solo in ambito lavorativo ma anche nella vita privata, evidenziando inoltre come spesso insorga proprio per la combinazione di una condizione
di tensione emotiva in entrambi questi ambienti.
Alcune persone sono risultate meno soggette ad incorrere nel burnout rispetto altre: queste sono quelle che presentano un alto livello di engagement (entusiasmo e interesse verso il proprio lavoro) e di self-efficacy (fiducia nelle proprie capacità e convinzione di poter riuscire nei compiti professionali). Come ottimi mezzi di difesa dal burnout, ai due elementi sopra citati, si aggiungono: competenza emotiva, intesa come capacità di elaborare le proprie e altrui emozioni e di controllarle; il supporto sociale di colleghi e/o familiari e il confort ambientale della struttura in cui si opera.

Glenda Oddi

Articoli simili

Alimentazione, cinque cibi per il benessere cognitivo

No definitivo alla maternità surrogata con la nuova legge

I 60 anni di Marco Van Basten