Il barboncino: il cane che cura i malati

Non esistono cani di serie C o di serie B, quando si amano davvero gli animali, infatti ognuno di loro, al di là del peso, della razza e del colore, ha la propria personalità, il tratto che lo distingue, compreso il meticcio, che fondamentalmente potremo definire quasi una razza a se stante. Il poliedrico meticcio sempre robusto e longevo, per certi versi unico, che somiglia soltanto a se stesso.

Tuttavia, i dati sembrano sorprendentemente evidenziare una particolare preferenza per il barboncino e, a sentire coloro che ne posseggono uno, pare abbia una certa capacità di conquistarci, vuoi per il suo aspetto delicato, vuoi perché mostra uno spiccato attaccamento alla famiglia, nonché una profonda devozione che lo rende quasi umano.

Secondo gli esperti, il barboncino è considerato il secondo cane più intelligente, dopo il labrador, oltre che unico in grado di recepire totalmente lo stato d’animo del suo padrone. Non casualmente è stato ed è utilizzato per la pet therapy.  Animale d’affezione, che lo ha visto molte volte protagonista durante la guarigione di bambini leucemici negli ospedali, proprio per la sua dolcezza e per la sua impressionante presenza costante, instancabilmente vicino al malato, oseremmo affermare con devozione e consapevole accortezza. Un cane amato proprio per questo, oltre che per il suo equilibrato modo di relazionarsi con il suo padrone.

Acquistato dalla maggior parte dei cinofili, un tempo veniva utilizzato anche come guida per i  non vedenti, successivamente sostituito dal labrador per le più adeguate caratteristiche fisiche. Un cane adottato facilmente anche in età matura, nelle tristi circostanze  in cui viene ceduto a seguito della morte del suo proprietario o nei casi di abbandono. Può sembrare strano che perfino un barboncino possa essere rifiutato, ma questa è un’altra storia, che mette a crudo gli enormi limiti di cui solo l’essere umano può essere portatore.

Eleonora Giovannini

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