I MEZZALIRA – Panni sporchi fritti in casa

scritto da Agnese Fallongo
con Agnese Fallongo e Tiziano Caputo
e con Adriano Evangelisti
regia Raffaele Latagliata
musiche originali Tiziano Caputo
scenografie Andrea Coppi
costumi Daniele Gelsi     

Il titolo I Mezzalira – panni sporchi fritti in casa nasce da un gioco linguistico che crea una fusione tra il celebre detto popolare “i panni sporchi si lavano in casa” e il concetto della “frittura” come simbolico spartiacque del binomio più antico della storia: quello tra servo e padrone, tra chi produce l’olio e chi lo possiede, tra chi può friggere tutti i giorni e chi non può friggere mai.

Se è vero che la saggezza popolare insegna a mantenere celate le questioni familiari all’interno delle mura domestiche lontano da occhi indiscreti, è altrettanto vero che quelle mura non sempre bastano a contenere i segreti, i tabù e i non detti della famiglia Mezzalira, protagonista del racconto, che, proprio come l’olio delle olive che raccoglie, scivola in una spirale di infausti accadimenti che la indurranno, inevitabilmente, a scendere a patti col mondo esterno.

Il tutto visto e raccontato da Giovanni Battista Mezzalira detto “Petrusino”, il più piccolo della famiglia che, una volta adulto, traccerà un vero e proprio arco della sua esistenza, in un caleidoscopio di ricordi che attraverseranno una vita intera, una vita fatta di luci, ombre e colpi di scena all’interno del medesimo focolare domestico.

Petrusino sarà costretto a fare i conti con i fantasmi del passato per poter scendere a patti con il presente, scoprendo di non essere stato il solo a custodire un segreto.

Un racconto tragicomico che, ai toni brillanti della commedia all’italiana, mescola le tinte fosche del giallo e del thriller e che invita lo spettatore a guardare attraverso il buco della serratura di una casa “qualsiasi” per rintracciare il proprio personalissimo passato e ricostruire così la propria storia, la storia della propria famiglia… non sempre perfetta.

Una scena astratta ed essenziale, ma dal  grande rigore estetico, realizzata da Andrea Coppi, fa da ideale cornice  alle vicende di  questa storia  ambientata in un  tempo/non tempo e in un luogo/non luogo e restituita attraverso un linguaggio dal sapore dialettale e inconfondibilmente nostrano che non si cristallizza in un unico dialetto o nei vari dialetti regionali che caratterizzano la nostra penisola, ma tende piuttosto ad una forma meticcia e di pura fantasia, nella quale il pubblico può riconoscere una sfumatura del proprio vernacolo, ma mai una vera e propria appartenenza.

La stessa linea stilistica della scena la ritroviamo anche nei costumi, realizzati da Daniele Gelsi.

La narrazione delle vicende, in cui tragedia e commedia si confondono continuamente, procederà attraverso una girandola vorticosa di ricordi rivissuti dal nostro protagonista, ma restituiti sempre “in assenza”. Egli presterà la voce al sé stesso bambino, al sé stesso ragazzo e al sé stesso uomo, ma in realtà sarà sempre assente dalla scena. L’intera vicenda familiare, seppur legata dal fil rouge della narrazione, si estrinsecherà per lo più in forma dialogica e gli altri personaggi si relazioneranno sempre con lui, ma questi rimarrà defilato fisicamente dalla scena in modo che il passato, quello cui la memoria del protagonista/narratore riesce a dare forma, venga incarnato nel presente, disarticolando e riarticolando il tempo della storia nel tempo del racconto e non necessariamente seguendo una coerenza spazio-temporale. Il nostro protagonista ricomporrà gli accadimenti a suo piacimento stabilendo da subito un rapporto diretto con gli ascoltatori.

Al Cometa Off di Roma dal 15 al 27 febbraio 2022

Bruna Fiorentino

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