I meccanismi nascosti di una vittima di stupro

Le vittime di stupro non si possono interrogare, perché quello che hanno dovuto sopportare è già una forzatura. Fare domande ad una donna su quello che ha subito, non le fa soltanto male, ma la obbliga a non rimuovere l’accaduto, a doversi rapportare con la propria incapacità di non essersi difesa, di aver attribuito al silenzio i tratti della corresponsabilità. Ci si domanda per quale ragione lei non parli, talvolta per anni, cosa la spinga a non ribellarsi al proprio aguzzino, a non reagire, a non manifestare la sua forza, perché non è possibile che di fronte ad un’azione malvagia come quella di tipo sessuale non si riesca a trovare dentro di sé quella volontà a dire no. Cosa scatta? Cosa succede in quei frangenti? Vi raccontiamo ora la storia di Elsa. L’uomo che per lungo tempo la corteggia e che tenta di allontanare dal marito attraverso una costante azione denigratoria dello stesso, la chiama per mesi, ogni giorno, con fare protettivo e rassicurante. Arriva ad uscire con lei, a convincerla a non rispondere al cellulare se qualcuno la chiama, “perché in questo modo penserebbero male e ti farebbero mille domande“. Elsa si fida di lui, sa che è in fondo un brav’uomo e lo asseconda in ogni sua richiesta. Passeggiano lungo il corso di una città, non ci interessa sapere quale, fin quando lui le fa notare che sarebbe meglio parlare in un luogo più tranquillo, lontano da occhi indiscreti. Lei non si rende conto di dove sia finita, certo si tratta di un luogo chiuso dove nessuno potrebbe vedere o sentire. Lui la prende per le mani, Elsa non lo rifiuta, lo accetta perché teme che sia lei ad interpretare male la situazione. Lui allora la bacia e lei resta inerme, perché forse è stata lei a provocare tutto questo. Lui avanza e la bacia. Elsa si lascia baciare e non lo respinge perché è già colpevole. Lui continua, le slaccia i pantaloni, Elsa chiede :”per favore non farlo”, ma lui prosegue e le ricorda di essere stata lei a volerlo, ma che ora non può tirarsi indietro. Elsa sente la sua mano insinuarsi con forza sotto le mutandine. Piange. Singhiozza. Non riesce a gridare, non sa come fermarlo. Poi un respiro acceso, una eiaculazione  imprevista che si dipana come la vergogna. Lui se ne va, lei rincasa rapidamente e fa una doccia. Mille pensieri attraversano la sua mente.  Perché l’ho seguito? Potevo evitare e non l’ho fatto, io sono la causa di tutto questo. Cosa dirò a mio marito? non mi crederebbe, mi lascerebbe. Elsa dimentica, non ha nemmeno modo di riaffrontare quell’uomo, ha timore di incontrarlo e forse di scoprire che gli abusi di lui diventino le bugie di lei. “lui insiste, domanda, mio marito, vuol sapere, ma io lo so che le sue domande sono di chi sospetta di me. E poi cosa dovrei raccontare? Squallidi dettagli? Mi direbbe che me la sono cercata, che potevo evitare“. Elsa  trascorre mesi e mesi nel mutismo, costretta a guardare gli occhi indagatori del marito che le chiede: ma tu ci sei stata? Quella domanda la ferisce e nello stesso istante la fa sentire in colpa. Ne derivano stati d’ansia, incubi notturni, paura di perdere il marito, timore di essere ricattata da quell’uomo, peraltro convinto di aver semplicemente condiviso un momento di intimo piacere. In una vittima di stupro le domande rimbalzano contro il muro che si erge alle sue spalle. Rimbalzano tra lei e il marito affranto, che non sa cosa provare, se doverla odiare o proteggere, se doverla capire o giudicare. Questi sono i risultati di uno stupro, il peggiore dei quali è la seduzione intrisa di plagio.

Questa è la storia di Elsa, che si sentirà sporca per tutta la vita, anche se ricevesse la grazia di un amore assoluto che scavalchi tutto quanto. Elsa, come tutte le vittime di stupro, aspetterà di essere perdonata per un crimine mai commesso.

Eleonora Giovannini

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