I Caravaggeschi illuminano l’estate romana

La mostra “Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi”, dal 16 giugno nelle sale espositive di Palazzo Caffarelli a Roma, è un doveroso omaggio alla cerchia di Caravaggio, i cosiddetti Caravaggeschi, alcuni di incerta identità, i quali, provenendo da tutta l’Italia e anche dall’estero, furono spesso oscurati dal genio del maestro, ma in questo contesto vivono una seconda doverosa opportunità.

Inizialmente programmata a partire dal 12 marzo 2020 e sospesa per le misure di contenimento del Covid-19, la mostra, curata da Cristina Bandera, direttore scientifico della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi, organizzata da Civita Mostre e Musei e Zètema Progetto Cultura, mentre il catalogo è di Marsilio Editori, è visitabile, su prenotazione e con tutte le attenzioni dovute, sino al 13 settembre.
L’evento è principalmente dedicato, nel cinquantenario della scomparsa, alla commemorazione di Roberto Longhi (Alba, 1890 – Firenze, 1970), storico dell’arte, critico, accademico italiano nonché collezionista, che si è dedicato, a partire dalla tesi di laurea e nei lavori successivi, allo studio della pittura di Michelangelo Merisi (Milano, 1571 – Porto Ercole, 1610), meglio noto agli esperti e ai profani come Caravaggio, dal nome del piccolo centro agricolo della Bassa Bergamasca in cui viveva la famiglia. Si tratta di un importante particolare visto che la sua prima formazione, sebbene se ne sappia poco, è sicuramente legata all’ambiente lombardo e a quel colorismo veneto che ispirò la sua sensibilità per le luci e le ombre così peculiari nella sua pittura ricca di nature morte principalmente soggetti inanimati di fiori e frutta e scene di genere. Trasferitosi giovanissimo a Roma, grazie allo straordinario talento seppe farsi apprezzare dal cardinale Francesco Maria Del Monte, uomo di vasta cultura e collezionista. Purtroppo l’indole violenta di Caravaggio lo portò a bruciare le sue splendide qualità e a morire nella Maremma grossetana solo e disperato, stroncato dalla malaria e dagli strapazzi di una vita dissoluta.

Tra le oltre quaranta opere esposte nella Capitale appartenenti ai Caravaggeschi, spicca il capolavoro di Merisi, acquistato da Longhi alla fine degli anni Venti, il Ragazzo morso da un ramarro, databile intorno al 1596-1597, che colpisce innanzitutto per la resa del brusco scatto dovuto al dolore fisico e alla sorpresa, che si esprimono nella contrazione dei muscoli facciali del giovane e nella contorsione della sua spalla come pure per la “diligenza” con cui il pittore ha rappresentato la natura morta con la caraffa trasparente e i fiori, particolare già evidenziato da Giovanni Baglione nel 1642.
In conclusione è doveroso sottolineare, per correttezza nei confronti dei visitatori, che la mostra, assai curata nei dettagli, va comunque esplorata ed ammirata con uno spirito pionieristico ossia come un’opportunità di incontro con quei pittori, meno famosi per i non addetti ai lavori, che formarono la cerchia di Caravaggio e che, grazie alla passione ed esperienza di Roberto Longhi, vivono una tarda giovinezza.

Bruna Fiorentino

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