Il 2 aprile 1927 nacque uno dei più grandi attaccanti della storia del calcio: Ferenc Puskás. Il suo vero cognome era Purczeld perchè il padre, a sua volta calciatore, era di origine tedesca, ma nel 1937 decise di cambiarlo in Puskás, per renderlo di fonia ungherese. Puskás giocò da professionista in due delle squadre più forti dell’epoca: l’Honved, in patria, tra il 1943 e il 1955 e il Real Madrid tra il 1958 e il 1966. Tra il 1956 e il 1958 scontò una squalifica per essersi rifiutato di rientrare con la squadra in Ungheria, dopo un partita di Coppa dei Campioni. In patria era appena stata soppressa una rivoluzione e molti giocatori preferirono restare all’estero: furono squalificati dalla FIFA e l’Honved fu sciolta dal governo ungherese. Puscas riuscì a far fuggire la famiglia e si fermò per alcuni mesi in Italia, prima di trasferirsi in Spagna per giocare al Real, in coppia con un altro fenomeno: Alfredo Di Stefano. Ottenne anche la cittadinanza spagnola e vi giocò in nazionale. Nel suo palmares vanta 5 campionati ungheresi e altrettanti spagnoli più 3 Coppe dei Campioni e 1 Coppa Intercontinentale. Con la Nazionale ungherese vinse l’oro olimpico a Helsinki ’52.
Puscas era un attaccante micidiale: coi club segnò 352 gol in 341 partite con la Honved e 156 gol in 180 partite nel Real Madrid. In Nazionale ungherese segnò 84 gol in 85 partite, mentre restò a secco nelle 4 partite con la nazionale spagnola. La sua media-gol in carriera fu di 0,98 reti a partita. E’ stato capocannoniere per 4 volte del campionato ungherese, 4 volte del campionato spagnolo e 3 volte della Coppa dei Campioni. Fino al 2018 è stato il più prolifico attaccante di tutte le nazionali europee, superato solo da Cristiano Ronaldo.
Fu poi allenatore, vincendo 2 campionati in Grecia, uno in Australia e Paraguay. Nel 2002 gli fu intitolato lo stadio di Budapest mentre nel 2009 la FIFA gli intitolò il premio al gol più bello dell’anno. E’ stato votato miglior giocatore del XX secolo dalla rivista L’Equipe e dall’IFFHS. Morì il 17 novembre 2006 a Budapest.
Daniele Capello