L’obiettivo è sviluppare un polo aperto, progressivo e partecipato di aggregazione e di avanguardia dei Maestri Artigiani e dei nuovi talenti, al fine di promuovere tradizione e innovazione
FaròArte vuole salvare l’artigianato italiano e presenta un programma dettagliato per un nuovo modello di sviluppo. FaròArte è un Consorzio Cooperativo (www.FaroArte.it) costituito nel 2011, che rappresenta più di trenta discipline artistiche e creative: dalla pittura alla scultura, dall’oreficeria alla ceramica, dal mosaico all’affresco, dal design alla fotografia, senza tralasciare la comunicazione culturale. FaròArte è impegnata in prima linea a sviluppare un polo aperto, progressivo e partecipato di aggregazione e di avanguardia dei Maestri Artigiani e dei nuovi talenti, al fine di promuovere in chiave di tradizione e innovazione quell’importante contaminazione feconda a ciclo storico continuo, compresa la piena valorizzazione del saper fare artigiano, artistico, creativo ed etnoculturale dei territori italiani. L’obiettivo è chiaro: valorizzare e tutelare l’artigianato. Ed è proprio per questo motivo che FaròArte intende dialogare con tutte le forze politiche che si candidano alle prossime elezioni amministrative regionali per sensibilizzare la politica sull’artigianato. È pronta la proposta di un pacchetto di idee da sottoporre ai candidati.
Analisi del settore
«Nel centro storico di Roma, nei primi anni ’90, lavoravano circa 5.000 imprese artigiane. Una densità importante – si legge nella Ricerca di FaròArte – che raccontava di una città operosa, piena di figure riconoscibili e specializzate nel lavoro manuale e nell’artigianato artistico. Queste 5.000 attività dieci anni dopo, nei primi anni 2000, si erano ridotte a circa 2.000; nel 2010 a 1.000; oggi sono circa 500 e forse ancora meno. La curva discendente è inesorabile. Di questo passo è evidente che tra pochi mesi, nemmeno anni, non ci saranno quasi più botteghe artigiane nel cuore di Roma. Lo stesso fenomeno è presente anche nel resto dei territori del Lazio. Gli artigiani sono costretti a delocalizzarsi e ad arrangiarsi per sopravvivere, perdendo visibilità, impoverendo anche il patrimonio culturale identitario dei borghi e dei centri storici».
Il mercato economico dell’artigianato
«Nel concetto di artigianato – commenta Carlo d’Aloisio Mayo, Vice Presidente di FaròArte – rientrano molte attività diverse, alcune anche troppo distanti tra di loro per genere tecnico, produttivo e di servizio. Di conseguenza, la situazione economica dell’artigianato come comparto non è certamente generalizzabile. Ogni settore ha le sue dinamiche di mercato: alcuni sono più fiorenti; altri vivono criticità più specifiche. L’ambito a cui FaròArte si riferisce è quello che definiamo del “Saper Fare Creativo”, ossia di quell’insieme di soggetti che nel loro lavoro combinano continuamente creatività e manualità tecnica e che sono spesso eredi e detentori di quota parte di quel patrimonio storico di Saperi e di Competenze che ha concorso, nel passato, alla genesi della “Grande Bellezza” (non solo di Roma, ma dell’Italia tutta) e che, più recentemente, ha espresso il valore identitario del vero Made in Italy, purtroppo in parte compromesso da una strumentalizzazione industriale. Queste realtà diffuse, che spesso si configurano in micro imprese familiari, negli ultimi decenni hanno vissuto duramente il confronto con i processi di sviluppo della società, dapprima con l’industrializzazione e subito dopo con la globalizzazione. Il prodotto artigiano si è progressivamente evoluto dalla sua funzione di utilità quotidiana ad una più prevalente funzionalità estetica e di lusso. Conseguentemente anche il mercato di riferimento si è trasformato, da quello di prossimità, nel quale si sviluppava anche una dinamica sociale, ad una dimensione più ampia e articolata, anche attraverso strumenti di marketing logistici e digitali. La stessa ubicazione delle “botteghe”, per secoli significativamente visibile nei centri storici ed in tal senso anche culturalmente identitaria (basti pensare ai nomi di molte vie del centro storico di Roma intestate ai mestieri che vi si svolgevano), è stata via via costretta a delocalizzarsi, anche per l’impossibilità di poter fare fronte ai fattori speculativi immobiliari. Tutta questa fenomenologia – complessa, ma altrettanto articolata e leggibile nel tempo, quanto, purtroppo, non adeguatamente governata in questi decenni da chi aveva le funzioni e le responsabilità – ha determinato una gravissima progressiva dispersione di questo straordinario “capitale umano, materiale e immateriale”, rendendolo non più visibile, economicamente debole, strutturalmente fragile e, soprattutto, non in grado di riorganizzarsi adeguatamente, salvo poche eccezioni, per poter affrontare le necessarie sfide evolutive. È questa, dunque, una sfida epocale di rilevanza economica e culturale, che impone di avviare un percorso di Innovazione del Sistema in chiave “co-making”, ossia attraverso plurali e flessibili, quanto strutturate forme collaborative, contaminanti e sinergiche di condivisione dei diversi processi (dalla creatività alla filiera produttiva, dal marketing alla commercializzazione), superando i limiti delle parcellizzate logiche spot. Dobbiamo essere consapevoli che stiamo parlando di un vero tesoro nascosto, una miniera dalla quale tornare ad estrarre, generare e promuovere nuova Grande Bellezza, quella del presente e del futuro, superando la sola evocazione, anche piuttosto decadente e consumistica, di quella del passato. Un patrimonio di eccellenza e di qualità da rimettere in gioco per renderlo volano attrattivo di nuove opportunità anche per le nuove generazioni; un potenziale straordinario grazie al quale il nostro Paese detiene tutte le prerogative per distinguersi, affermarsi e competere, senza temere competitor, sullo scenario internazionale».
Francesco Fravolini