Epatite C, in Emilia-Romagna stanziati circa 6 milioni di euro per il biennio 2021/22

La Asl di Modena: “prese in carico circa 2.000 persone. nei servizi di dipendenze patologiche testato fino all’89%, nelle carceri più del 95%”

“La Regione Emilia-Romagna avrà a disposizione circa 6 milioni di euro per per avviare lo screening gratuito dell’epatite C. Abbiamo una grande responsabilità perchè si tratta di una quota di risorse davvero importante da utilizzare nel migliore dei modi. La ripartizione economica prevede circa 2 milioni e mezzo di euro per il primo anno di attività, i rimanenti saranno investiti nel secondo anno”. Lo ha dichiarato la Dottoressa Veronica Bernabucci, U.O. Gastroenterologia, Policlinico Universitario di Modena, intervenuta in occasione del corso di formazione ECM sulla gestione dei tossicodipendenti con epatite C, organizzato dal provider Letscom E3 con il contributo non condizionante di AbbVie.

Il corso, dal titolo ‘Strategie di screening e linkage to care nelle popolazioni speciali. Dove ci eravamo fermati?’, rientra nell’ambito di ‘Hand – Hepatitis in Addiction Network Delivery’, il progetto di networking a livello nazionale patrocinato da quattro società scientifiche (SIMIT, FeDerSerD, SIPaD e SITD) che dal 2019 coinvolge i Servizi per le Dipendenze e i Centri di cura per l’HCV afferenti a diverse città italiane.

“Sappiamo bene- ha aggiunto Bernabucci- come il Decreto Legge di cui stiamo discutendo, quello che ha previsto la disponibilità di questi fondi, abbia già inquadrato ed individuato le popolazioni verso le quali indirizzare il budget. La popolazione è quella generale, definita per coorte di nascita, in particolare i soggetti nati dal 1969 al 1989. Il nostro scopo è portare in superficie il sommerso di infezioni che sappiamo essere presente e che ci sfugge. E sappiamo bene quanto le popolazioni dei Ser.D., quindi i soggetti che ruotano a queste strutture per noi importantissime, e la popolazione carceraria siano un bacino di utenti dove indirizzare gli sforzi, economici e di progettualità”.

“E’ molto importante – ha commentato il Direttore Generale dell’AOU di Modena dottor Claudio Vagnini – che Modena ospiti un evento di respiro nazionale come quello di oggi, su un tema di grande attualità. L’Azienda che io dirigo è composta da due ospedali di terzo livello che, grazie alla collaborazione con l’Ateneo, assicurano le cure più innovative e la ricerca più evoluta in tante specialità, tra cui di certo l’epatologia ha una lunga e proficua tradizione che risale alla scuola epatologica di Mario Coppo. Un sistema sanitario efficace, però, si basa non solo su grandi ospedali di eccellenza. Esso poggia su un sistema articolato di prevenzione e screening che consenta di intercettare il paziente il prima possibile. Lavorare, quindi, sulle categorie a rischio è fondamentale non solo come sfida sociale ma è una importante parte della politica sanitaria di una comunità”.

La Professoressa Erica Villa, Direttore della S.C. Gastroenterologia – AOU di Modena, Policlinico, ha aggiunto che ‘’come il dottor Vagnini ha richiamato, il tema della “cura”, della popolazione in generale ma ancora di più della parte di popolazione definibile “fragile”, è un tema estremamente importante e complesso. Non a caso, proprio per la sua complessità, nonostante svariate iniziative progettate e ipotizzate in passato, i programmi di screening di popolazione con la conseguente ricaduta in termini di una più completa offerta terapeutica, non sono decollati con l’efficacia che sarebbe stata necessaria. L’avvento della pandemia Sars-Cov2 ha ulteriormente giocato un ruolo negativo, facendo andare in secondo piano quasi tutti i temi assistenziali che non fossero iper-urgenti. Adesso che, grazie alla vaccinazione anti-Sars-Cov2, lo scenario generale da segni di ritorno alla normalità, è finalmente arrivato il momento di riprendere i programmi che erano stati tralasciati.”

Ha preso parte al corso anche la Dottoressa Chiara Gabrielli, Direttore del Programma Dipendenze Patologiche della provincia di Modena, che si è soffermata sulle iniziative da mettere subito in campo con questi finanziamenti ed ha affermato che “il Decreto ci dà molti elementi per poter lavorare. Le popolazioni dei pazienti con dipendenza patologica, non solo tossicodipendenti ma anche le persone con problematiche di alcol o gioco d’azzardo patologico, sono più vulnerabili rispetto a quelle con infezione da Hcv. E’ dunque necessario non solo fare i test. All’interno dei servizi per le dipendenze patologiche della Regione si registra una percentuale di test molto elevata: almeno il 72% della popolazione di tutta l’Emilia-Romagna è stata testata per l’Hcv all’interno dei servizi di dipendenze patologiche. In questi ultimi anni a Modena abbiamo addirittura raggiunto livelli pari all’80, l’86 e l’89%, mentre nelle carceri la percentuale è superiore al 95%”.

Secondo Gabrielli “è però necessario rivolgersi ad altri setting per eseguire screening più ampi. Ad esempio sulla strade, nei servizi di prossimità. Quindi, bisogna rivolgere l’attenzione alle persone consumatrici di sostanze anche oltre i servizi di dipendenze patologiche. E in questi setting, in questi luoghi dove andare ad intercettare le persone che consumano sostanze, i test rapidi sono certamente di grandissima utilità”.

Dottoressa Gabrielli si è poi soffermata sui pazienti che afferiscono alla struttura di Modena e su quelli guariti in percentuale grazie alle terapie, sottolineando che “mediamente negli ultimi anni sono circa 10.000 le persone che afferiscono ai servizi per le tossicodipendenze in Regione Emilia-Romagna, mentre nel territorio modenese abbiamo assistito e preso in carico circa 2.000 persone. Molte di più sono le persone che, però, afferiscono anche solo per un consiglio o che, eventualmente, non vengono prese in carico. Anche per loro è possibile fare il test di diagnosi per l’Hcv”.

Gabrielli ha poi reso noto che “le persone che afferiscono ai nostri servizi hanno una percentuale molto alta di infezione di Hcv, circa il 40%. Quindi stiamo parlando di migliaia di soggetti in Regione e di centinaia di persone nella provincia di Modena. Molte sono quelli già avviati alle cure e la percentuale di guarigione è sovrapponibile a quella della popolazione generale, quindi circa il 95% delle persone sottoposte a terapia guarisce. Guarisce e può infettarsi nuovamente. Il Decreto ci chiede, dunque, di lavorare anche sul counselling, sulla prevenzione e sulla riduzione della possibilità di reinfezione”.

La Dottoressa Bernabucci ha invece acceso i riflettori sui farmaci, informando che “l’Emilia-Romagna è sempre stata una Regione virtuosa dalla prima disponibilità degli antivirali ad azione diretta. C’è stato un passaggio storico dalla vecchia terapia a questi farmaci che sono davvero efficaci, maneggevoli e sicuri, con una velocità di trattamento davvero impressionante. Questo perché avevamo ben chiaro chi trattare”.

Bernabucci ha però tenuto a precisare che “abbiamo subito un trend in ribasso dal 2018, quando i trattamenti in Regione furono circa 5.000/5.200, per scendere drammaticamente nei primi cinque mesi del 2021 a poco più di 500. Ovviamente, la battuta d’arresto e lo schiaffo lo abbiamo subito dal Covid, che ha limitato la nostra azione verso questi pazienti ma anche l’arrivo di questi pazienti verso le nostre strutture. Voglio però ribadire che il trend in calo era già registrato”. Ma cosa fare oggi, in particolare per quanto riguarda il sommerso?

“E’ stimato- ha proseguito Bernabucci- che in Emilia-Romagna ci siano 20.000/25.000 persone da trattare, 11.000/12.000 che ruotano proprio nell’ambito dei Ser.D. Proprio perché si tratta di sommerso non si può parlare di numeri precisi, siamo carenti di dati epidemiologici veri.

Sicuramente stiamo soffrendo e per questo dobbiamo utilizzare questi fondi e questa possibilità che ci viene data. L’Italia è l’unico Paese in Europa a poter disporre di fondi statali proprio per l’impegno sullo screening e sull’eradicazione dell’epatite C”, ha concluso. 

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