E’ morto Rutger Hauer, volto iconico dell’immaginario Anni ’80

Ci ha lasciato Rutger Hauer, una lunghissima carriera con più di 170 titoli anche se la popolarità la deve soprattutto a “Blade Runner” di Ridley Scott. Colpisce la coincidenza della morte nell’anno in cui era ambientato il film e in cui il suo Roy moriva, il 2019.

Rutger Hauer, l’attore olandese morto il 24 luglio 2019, dopo una breve malattia, all’età di 75 anni, è stato uno dei volti più iconici del cinema degli Anni ‘80. Il cavaliere di Ladyhawke, il samurai non vedente di Furia cieca, l’autostoppista psicopatico di The Hitcher e soprattutto il replicante affascinante di Blade Runner che, col suo monologo alla fine del film, resta per sempre impresso nell’immaginario di ciascuno di noi.

Ho viste cose che voi umani non potreste immaginare. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione… e i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser… e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. E’ tempo di morire”.

Il fatto di aver recitato nel più importante film di fantascienza della storia del cinema ha certamente contribuito a fissare l’attore nell’olimpo della settima arte. Una magistrale interpretazione nei panni del replicante Roy Batty, nella quale l’attore mise come è noto molto del suo. Sembra, infatti, che avesse suggerito egli stesso al regista come girare alcune scene, in particolare quella del famoso monologo: sua, infatti, la decisione di utilizzare una colomba bianca in mano, e sua anche l’improvvisazione di alcune frasi della scena. Racconta il regista Ridley Scott: “Era così toccante che anche quelli che stavano filmando si commossero”.

La pellicola di Scott, peraltro, era ambientata in un immaginario 2019, per cui possiamo dire che per una bizzarra coincidenza l’attore è morto nell’anno stesso in cui il suo personaggio più iconico moriva nella finzione cinematografica.

Nato nel 1944 a Breukelen (Olanda), figlio di due attori, Rutger cresce insieme a tre sorelle. A 15 anni si imbarca su un piroscafo mercantile per un anno, seguendo le orme di suo nonno capitano di goletta. Al suo ritorno si iscrive a una scuola di arte drammatica, finendo però per fare una vita da bohèmien tra i coffee shop di Amsterdam. Espulso dalla scuola, approda nella Marina Olandese, per poi fuggire anche da lì, non senza un breve passaggio in un istituto psichiatrico. Poi, nel 1969 si avvicina al mondo del cinema e non lo abbandona più.

Alto, massiccio, occhi azzurri di ghiaccio, quasi un archetipo del puro ariano, Hauer si è sposato due volte: dalla prima moglie ha avuto la figlia Aysha (anche lei attrice), mentre dal 1985 si è legato in matrimonio con Ineke, scultrice e pittrice. Del suo lavoro diceva: “Bravo e cattivo ragazzo, eroe o antieroe; non mi importa ciò che interpreto, ogni ruolo ha qualcosa di magico”.

Una curiosità. Nel 1995 le Poste olandesi hanno stampato un francobollo che ritrae Hauer in uno dei suoi film più famosi, “Fiore di carne” di Paul Verhoeven (1973), per celebrare il centenario della nascita dell’arte cinematografica.

Anna Rita Felcini

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