Proseguiamo la trattazione sulla sicurezza sul luogo di lavoro con i DPI, di cui trovate i punti introduttivi nel precedente articolo.
I Dispositivi di Protezione Individuale vengono classificati in tre categorie, in ordine crescente a seconda del grado di rischio connesso all’attività lavorativa.
DPI di prima categoria: sono dispositivi di protezione per attività che hanno rischio minimo e che procurano danni di lieve entità (come l’effetto di vibrazioni, raggi solari, urti lievi, fenomeni atmosferici, ecc). Sono autocertificati dal produttore.
DPI di seconda categoria: semplicemente, qui vengono inclusi i DPI che non rientrano nelle altre due categorie e che sono legati ad attività con rischio significativo (il D.Lgs. 475/92 non fornisce una vera e propria definizione di tale categoria). È richiesto un attestato di certificazione di un organismo di controllo autorizzato.
DPI di terza categoria: dispositivi che proteggono il lavoratore da danni gravi o permanenti per la sua salute, o dal rischio di morte. Secondo le norme vigenti in ambito salute e sicurezza sul lavoro, è previsto un addestramento specifico obbligatorio per poterli utilizzare in modo corretto. Alcuni esempi di DPI di terza categoria sono: imbragature, caschi con allaccio sottogola, autorespiratori, guanti ignifughi, ecc.).
In questa categoria rientrano i Dispositivi di Protezione Individuale:
per protezione respiratoria (filtranti);
isolanti;
per ambienti molto caldi (+ di 100°C) o molto freddi (da -50°C in giù);
contro le aggressioni chimiche;
contro le cadute dall’alto;
per protezione dal rischio elettrico.
Attività lavorative sottoposte all’utilizzo di DPI di terza categoria sono, ad esempio, quelle che operano in spazi confinati o lavori in quota.
Per procedere nella trattazione sul tema, si rimanda al successivo articolo.