L’assenza di felicità ha origine proprio nel ragionamento, in quel “frugare” insistente , in quella domanda scalpitante e scalpellante che ci logora tra sassi e stelle. L’uomo cerca di capire, di conoscere o riconoscere il senso della sua esistenza, ma più ragiona e meno comprende, più cerca e più precipita in un “non senso” pericoloso e mortale per il proprio spirito, per quella zona del sé che non appartiene al ragionamento, ma alla sua stessa natura di luce.
L’uomo non è felice quando ragiona, perché la felicità o il suo profumo breve, si trova nei sensi, nell’ abbandono alle emozioni.
Le emozioni tuttavia hanno bisogno di consapevolezza per non sembrare un vuoto momento di ebbrezza. Non ci si può ubriacare di emozioni se si desidera arrivare alla verità.
Esiste una forma di pensiero che si pone tra ragione e sentimento: l’intuizione.
Intuire significa “guardare dentro”, è una forma di “pensiero di pensiero”, la più vicina a Dio, che ci consente di sentire conoscendo.
Dio è conoscenza diretta, è amore che conosce. Noi abbiamo un’origine divina, spirituale. Vivere vuol dire ricordare quell’ origine.
Per essere felici pertanto non è necessario ragionare troppo, né sbronzarsi di emozioni. E’ sufficiente “entrare dove si guarda”, come si entra in un tramonto, come ci si fonde in un brano musicale, come si da una carezza.
Abbandonarsi a se stessi, al “sé” consapevole e fluido.
L’assenza della felicità è la mancanza di intuizione, è non lasciare la tensione per la leggerezza, è distanziarsi dagli altri animali del pianeta, che invece sanno benissimo come vivere in simbiosi con la terra.
Il vangelo predica questo: l’abilità degli uccelli che non arano, che non tessono, ma che vengono nutriti dalla madre terra e che vivono in tutto il loro splendore.
Gli animali intuiscono, ecco perché sanno vivere e morire senza alcuna miseria umana.
Eleonora Giovannini