Fino a poco tempo fa quando si parlava di elefanti si faceva riferimento a due specie: una vivente in Africa e l’altra in Asia. Ma le ultime ricerche hanno evidenziato che in Africa non esiste una sola specie di questo pachiderma, ma addirittura due.
Gli elefanti asiatici appartengono tutti a un’unica specie, Elephas maximus, di un unico genere che comprende anche sette specie estinte, tra le quali alcuni elefanti nani preistorici.
Il genere Elephas è considerato molto vicino agli estinti Mammuth (Mammuthus sp.).
Gli elefanti africani appartengono al genere Loxodonta: L. africana (Elefante africano di savana) e L. cyclotis (Elefante africano di foresta). Quest’ultima è la nuova specie, precedentemente considerata una sottospecie di L. africana, da cui è stata separata dopo studi genetici che hanno evidenziato differenze importanti nel DNA tra le due entità. La separazione è avvenuta tra 2 e 7 milioni di anni fa. L. cyclotis è più piccolo di L. africana e mostra altre differenze legate alle orecchie, alla mandibola e alle zanne; inoltre, vive più a occidente rispetto a quest’ultima.
È stata proposta anche un’ulteriore nuova specie non ancora accettata, chiamata “Elefante occidentale”, che vive più a ovest e sembra geneticamente più affine all’Elefante di foresta.
Lo “split”, termine tecnico che indica la separazione di due specie prima considerate un’unica entità, ha portato a cambiamenti anche sulla conservazione degli elefanti africani.
L. africana nella lista rossa IUCN è passato nel 2020 da VU (vulnerabile) a EN (in pericolo), in una categoria quindi più a rischio mentre L. cyclotis è in categoria CR, in pericolo critico.
Daniele Capello