Dina Bellotti nacque ad Alessandria e ha rappresentato un nuovo modo di interpretare la pittura
Nacque ad Alessandria il 2 ottobre 1912, all’anagrafe era Bernardina Bianca, ma per gli amanti dell’arte è stata semplicemente Dina, Dina Bellotti.
Nella città piemontese frequenta le scuole elementari e l’avviamento, a 14 anni entra nello studio di Alberto Caffassi, pittore alessandrino “folgorato” dal divisionismo di Pellizza da Volpedo.
A 22 anni, a Torino, Dina Bellotti apre il suo primo laboratorio di creazioni pittoriche che di lì a poco la faranno diventare famosa in Italia e nel mondo. Si afferma nella tecnica dell’incisione e da questo tipo di arte carpisce i segreti dell’ “acquaforte” (dove la superficie di una lastra metallica viene ricoperta da un sottile e uniforme strato di cera per acquaforte, poi annerita con nerofumo. Con una punta di acciaio si esercita una pressione sufficiente a scoprire il metallo tracciando i segni che comporranno l’immagine). Con questa tecnica nel 1934 vince il “premio Regina”. L’incisione rimane la sua prima grande passione e una sua opera, raffigurante piazza Vittorio Emanuele Filiberto, nel 1938 è acquistata da Sua Maestà il Re ed oggi si trova nella Quadreria del Quirinale. Dina Bellotti in quel periodo è una degli artisti più ricercati e apprezzati nel panorama italiano. Poco prima dei trent’anni i genitori lasciano Alessandria per trasferirsi a Sestri Levante e Dina Bellotti segue i cari nella nuova meta ligure. Dopo la guerra la sua attività artistica riprende vigore e vivacità, caratteristiche che le permettono di raccogliere premi a Roma, Torino, Cannes e nella sua Alessandria.
Dina Bellotti non segue nessuna corrente pittorica e nessun modello espressivo, non vuole farsi classificare e predilige rimanere fuori da ogni schema. Lei osserva, narra ciò che vede attraverso i colori, con grande spontaneità e immediatezza. Da “ragazza pittrice alla ricerca delle cose tragiche della vita”, come aveva affermato in un’intervista, Dina Bellotti si era intanto emancipata a donna, capace di trasformare la realtà che vedeva in opere capaci di trasmettere messaggi positivi, che comunicavano al pubblico il fascino per le cose che durano un attimo, come uno sguardo ed un gesto di bambino.
E’ qui che inizia la “terza fase” della vita artistica, ma anche personale, di Dina Bellotti. Nel 1958 conosce il giornalista Angelo Nizza e nel 1959 lo sposa. E’ un amore grande e vero; la maturità dei due (Nizza aveva 54 anni) non impedì la nascita di un rapporto fatto di passione, ironia, complicità e freschezza. Angelo Nizza era sempre stato un viveur, appassionato di giornalismo e attratto dalla vita mondana. Con Riccardo Morbelli fu autore di spettacoli radiofonici di grande successo e nel 1951, quando era addetto stampa del Casinò di Saremo, assieme ad Angelo Nicola Amato fu tra gli ideatori del Festival della Canzone. Insomma, un uomo che ha fatto la storia del costume italiano.
Dicevamo del loro matrimonio: lo stesso Riccardo Morbelli, in un articolo su La Stampa, scritto con ancora il nodo alla gola per la morte del caro amico, parlava così di Nizza: “dopo cento avventure sentimentali aveva ormai messo la testa a partito e aveva sposato una pittrice, Dina Bellotti, l’unico vero, grande amore della sua esistenza. Era felice, sembrava rinato a nuova vita”. Ma il dramma di Angelo Nizza e Dina Bellotti era dietro l’angolo: nel mese di agosto del 1961 a Nizza viene diagnosticato un cancro e nell’arco di quattro mesi muore, pochi giorni prima di Natale.
Il vuoto che si crea dentro alla moglie Dina è immenso. La “pittrice della vita”, come la chiamava il critico letterario Carlo Bo, sembrava non avere più le energie per continuare la strada dell’arte e della creazione. Ma nel 1963, facilitata anche dalla vicinanza della sua abitazione con la Città del Vaticano, riesce a fissare un incontro con Paolo VI, Papa da pochi mesi: il Pontefice la guarda, capisce che dentro Dina Bellotti cova un dolore profondo e le sussurra: “lei da questo momento non sarà più sola”. La Bellotti aveva già immortalato su tela Giovanni XXIII, ma con Paolo VI diventa ufficialmente la ritrattista dei Pontefici, rappresentandolo in oltre cento ritratti. La sua opera continuerà con Giovanni Paolo II. Praticamente tutte le immagini su cartoline, su oggetti di varia natura e francobolli che immortalano Wojtyla sono di Dina Bellotti. Giovanni Paolo II incaricò la Bellotti di dipingere “Maria Stella dell’evangelizzazione”, scrisse una preghiera a riguardo e la fece distribuire in tutto il mondo, con l’opera suddetta dell’artista alessandrina.
Tra l’altro la Bellotti era molto legata a Papa Benedetto XVI, che lo ritrasse ai tempi in cui era ancora cardinale. Nella collezione d’arte in Vaticano troviamo un dipinto della Bellotti che rappresenta la pesca miracolosa. Negli anni settanta lascia Roma per Borgo Santo Spirito, senza disdegnare frequenti incursioni nell’amata isola della Laguna di Venezia, Burano.
Ma rimane sempre legata a Roma: il 29 agosto 2003 Dina Bellotti muore, dopo un ricovero all’Ospedale Santo Spirito. Dalle botteghe della provincia alessandrina, alle immagini e agli incontri con i pontefici, dalle rive del timido Tanaro a quelle del sornione Tevere. Dina Bellotti sia nei ritratti che nelle rappresentazioni di luoghi e paesaggi, non ricopiava mai la mera superficie o la semplice esteriorità, bensì dagli oggetti voleva far emergere l’essenzialità delle cose, mentre delle persone riusciva a dipingere anche le emozioni interiori e la profondità umana. Ciò era reso possibile solo grazie al suo grande amore per l’uomo e per il mondo che lo circonda.