Vicino il famosissimo passo di Resia, al confine con l’Austria, sorge l’affascinante borgo sommerso di Curon-Venosta, dal cui lago emerge maestoso e grondante di storia solo il campanile della vecchia chiesa del paese, costruita nel 1357.
Il toponimo “Curun apud lacum” o “Curunes”, attestato per la prima volta nel 1140, deriva probabilmente dal retoromanzo “curuna” e significa “balza”, a testimonianza del fiabesco paesaggio montuoso che circonda il borgo.
Il misterioso paese sommerso, ricordato anche nel romanzo Resto qui di Marco Balzano, fu letteralmente allagato con una diga artificiale per permettere la produzione di energia idroelettrica (indispensabile per quelle terre così a nord) e venne ricostruito “più a monte” nel 1950.
I visitatori, tuttavia, esplorano il nuovo borgo ricostruito solo dopo una lunga sosta davanti al campanile sommerso che si specchia sulle acque del lago, divenuto una delle principali attrazioni del luogo (oltre alla Stazione metereologica di San Valentino della Muta).
In inverno, infatti, quando il lago di Resia è soggetto a continue gelate, è possibile raggiungere il campanile a piedi, camminando sullo spessissimo ghiaccio in totale sicurezza, e non sono pochi i turisti che, forse suggestionati dalle leggende del luogo, affermano di sentire ancora le campane suonare, nonostante siano state rimosse dal campanile proprio nel 1950 (cioè prima della formazione del lago artificiale).
Una popolazione fatta in totale di sessanta famiglie che portano avanti antiche attività contadine, e un consiglio di soli cinque membri sotto la cui responsabilità ricadono complessivamente 2.900 ettari di territorio incontaminato, tra zone boschive e d’alpeggio (destinate al pascolo).
Una terra di confine, appartenuta fino alla Prima Guerra Mondiale all’Impero austro-ungarico, amatissima per le lunghe passeggiate, i mistici monasteri e i regali castelli.
Oggi il campanile della chiesa medievale di Santa Caterina resta l’unico simbolo superstite della volontà statale di allagare un intero paese, privando i contadini della loro storia e delle loro case, pagate, come racconta Balzano nel suo romanzo, con pochissime lire di indennizzo.
Le famiglie restarono senza nulla, private della loro memoria culturale, storica e affettiva.
Ambra Belloni