Coronavirus e cyberbullismo Una riflessione su impatto del fenomeno e conseguenze giuridiche

Le decisioni politiche attuate per limitare il contagio da Coronavirus ci hanno condotto ad un “isolamento” forzato che si protrae da mesi e che ha fortemente limitato gli spostamenti liberi. Le ricadute della reclusione domestica sono state immediate ed hanno prodotto risvolti sulle ordinarie routine di ciascuno, in particolare, quelle degli studenti con la didattica a distanza e quelle dei lavoratori con lo Smartworking. Tra gli effetti annoverati, c’è il fenomeno dell’utilizzo intenso e spesso improprio delle interconnessioni in Rete. L’impiego distorto delle Tecnologie digitali nel contesto scolastico e della didattica on-line a quali conseguenze giuridiche fa incorrere?

A conferma del fatto che il cyberbullismo cresca in parallelo con l’aumento della presenza dei ragazzi su Web, Internet e Social Media, durante questo periodo di emergenza pandemica, in cui le violenze, in ogni forma, accompagnano la cronaca quotidiana e mietono vittime, è stato registrato un notevole incremento del fenomeno. Per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali realizzati, per via telematica, a danno di minori, nonché la diffusione di contenuti on-line riguardanti uno o più componenti della famiglia di un minore con lo scopo di isolarlo, attaccarlo o metterlo in ridicolo (art. 1.2 della Legge 29 maggio 2017, n. 71).

A destare preoccupazione c’è l’età sempre più bassa delle persone coinvolte, sia nel caso delle persone offese sia nel caso dei cyberbulli. E, stando alle stime del ministero dell’Istruzione, il 70% degli infra-quattordicenni fa uso dei social, sebbene per costoro il trattamento dei dati richieda il consenso dei genitori e l’età minima per l’utilizzo dei social sia 14 anni.

Il cyberbullo si serve degli strumenti tecnologici, facendo un uso distorto della connessione virtuale che è possibile instaurare tra gli individui: compie atti di prepotenza, offensivi ed intimidatori nei confronti della vittima prescelta, condivide anche video o immagini violenti, lesivi per umiliarla. A differenza del classico bullo, che agisce in una dimensione reale ed in un luogo fisico, il cyberbullo manca di un contatto diretto con la vittima. Ciò gli consente di operare nell’anonimato e mostrare le sue azioni moleste ad un pubblico, che nel mondo digitale, di condivisione in condivisione, può essere sempre più grande ed incontrollato. Da contraltare all’anonimato ed alla distanza, fanno l’assenza di una percezione della gravità delle azioni che compie ed un basso senso di empatia, al punto tale che il cyberbullo si sente completamente libero, schermato com’è nella trincea dell’on-line.

In Italia il cyberbullismo è molto diffuso, e, in seguito all’emanazione della Legge 71/2017, è un reato a tutti gli effetti, sebbene sia ancora poco conosciuto. Questa legge, che reca “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, si presenta come la prima in Europa ad occuparsi di questo problema sociale. È dedicata a Carolina Picchio, la prima ragazza vittima di cyberbullismo in Italia, morta suicida sette anni fa, a soli 14 anni, dopo la diffusione in rete di alcune sue immagini intime. E, sulla scorta della Decisione 1351/2008/CE in materia di protezione dei bambini che usano Internet, si ispira a principi di sicurezza partecipativa. Avendo un carattere preventivo oltre che inclusivo, si pone in dialogo direttamente con le famiglie, il mondo della scuola, le istituzioni e le aziende legate al mondo del Web. In nome e ricordo di Carolina Picchio è nata anche la Fondazione Carolina, che lavora per battersi contro i fenomeni illegali in rete, sensibilizzando e istruendo i giovani, la collettività tutta, sui rischi provocati da queste condotte penalmente rilevanti e perseguibili. Alla diffusione del cyberbullismo non corrisponde sempre l’altrettanta piena consapevolezza di commettere un reato; molto spesso le azioni vengono realizzate senza veramente conoscere le conseguenze a cui si va incontro. Tra Marzo ed Aprile, in soli due mesi, quando si era in pieno svolgimento della didattica on-line, sono stati segnalati a questa associazione circa 400 episodi di cyberbullismo, ossia un numero di casi fino a 8 volte maggiore, rispetto alla media mensile ordinaria. Le condotte, generalmente perpetrate a danno sia di compagni che di insegnanti, sono le più disparate. Lo scambio su gruppi WhtasApp e Telegram di video osceni, messaggi virtuali di odio verso le donne, foto personali e modificate dei minori come anche degli insegnanti, insulti, creazione di gruppi Social di stupro virtuale, intrusioni da parte di estranei sulle piattaforme online usate per lo svolgimento delle lezioni, sexting, e persino casi di Revenge Porn.  Precisiamo che riguardo ai reati di diffamazione, minaccia o trattamento illecito di dati (art. 595, 612 cp e art. 167 del Codice della privacy) perpetrati sulle piattaforme di videoconferenza, parificate ai luoghi aperti al pubblico, va richiamata la stessa giurisprudenza consolidata per i mass media e Social Network. Inoltre, offendere gli insegnanti durante le lezioni on-line integra ancora un altro reato, e precisamente quello di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341 bis cp).

In riferimento al Revenge Porn, si tratta di un reato disciplinato dalla legge nota come Codice Rosso (Legge 19 luglio 2019 n. 69), che tutela le vittime di violenza domestica e di genere, condannando proprio la subdola condivisione di immagini o video intimi e sessualmente espliciti, ad una o più persone terze, senza il consenso della vittima che vi è ritratta, al fine di recare nocumento alla stessa. Forme di abuso del genere, come stabilito dall’articolo 615-bis del codice penale, sono punite con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 5000 euro a 15000 euro, e la pena è aumentata nel caso in cui i fatti siano commessi dal coniuge o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, o se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematiciNelle ultime settimane, anche in concomitanza della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne del 25 Novembre, si è parlato molto del fatto accaduto all’insegnante d’asilo nella provincia di Torino, riportando l’attenzione pubblica su questa condotta, che, nonostante integri una fattispecie penale, è reiterata nella noncuranza più totale sia dei risvolti negativi psicologici ai danni della vittima, sfociati in alcuni casi in suicidi, sia delle conseguenze di natura giuridico-legale. Nella vicenda in questione, l’ex fidanzato aveva diffuso video e foto intime della donna in una chat di WhatsApp, innescando una catena di visualizzazioni e condivisioni. A rendere particolarmente delicata la circostanza son stati gli aggiuntivi effetti ricaduti sulla vita dell’insegnante: dapprima ha ricevuto minacce da una mamma e poi è stata costretta a licenziarsi dalla dirigente scolastica, che pubblicamente diffondeva i motivi.

Venendo adesso alla normativa contro il cyberbullismo, precisiamo che si rivolge esclusivamente ai ragazzi minori, sia vittima che cyberbullo, e coinvolge sotto un profilo di assunzione di responsabilità tutta la comunità educante (sistema Scuola-famiglia), prevedendo che il reato sia punito e sanzionato per tre tipologie distinte di responsabilità: la culpa del minore (l’ultraquattordicenne autore del fatto risponde personalmente in sede penale) e la culpa in vigilando ed educando (art. 2048 cc, responsabilità civile) sia dei genitori che della Scuola, su cui ricadono precisi compiti educativi e di controllo. Le sanzioni dei minori coinvolti possono andare dalla sospensione fino alla espulsione da Scuola o insufficienze in condotta che possono determinarne la bocciatura, a seconda dei regolamenti di istituto e della gravità dei fatti commessi. La legge prevede, oltre alla punizione, anche un percorso di recupero con finalità rieducative dello lo studente che ha commesso il fatto, mediante, ad esempio, lo svolgimento di attività riparatorie di rilevanza sociale o scolastica. Uno dei principali punti in cui si articola la Legge c’è la previsione di un Tavolo interministeriale permanente, con il compito di redigere un piano integrato di contrasto e prevenzione, un sistema di raccolta dati e monitoraggio, un codice di co-regolamentazione a cui gli operatori della rete devono attenersi; che, tuttavia, ancora non esistono. Nonostante in quest’ultimo punto nevralgico, la Legge risulti, ad oggi, inattuata e nonostante alcune lacune sulla non piena capacità di contrastare il fenomeno – soprattutto considerando che un contenuto di testo, immagine o video potrebbe essere scaricato e riprodotto attraverso nuove condivisioni su altri siti o Social, diversi da quello a cui è stata inviata richiesta di oscuramento, rimozione o blocco – va dato atto di un merito al sistema giuridico italiano: ovverosia di essere stato il primo in Europa ad aver predisposto una tutela legislativa per gli episodi di cyberbullismo, cogliendo quella necessità, socialmente ed istituzionalmente avvertita, di promuovere e conseguire una dimensione digitale delle relazioni più etica ed autentica.

Per approfondire, si consiglia M. Orofino e F. G. Pizzetti, Privacy, minori e cyberbullismo, in I diritti nella “rete” della Rete, Giappichelli Editore, Torino, 2018.

Carmelina Sessa

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