La nuova veste del prodotto nasce come conseguenza dell’analisi di un problema comune delle aziende: la necessità crescente di contenuti, a fronte della mancanza di tempo e risorse a disposizione dei team di marketing e comunicazione
Liberare la creatività agevolando il content marketing. È questo l’obiettivo di Contents, la nuova piattaforma per supportare gli utenti in maniera strategica nella creazione dei contenuti, rafforzando il connubio tra copywriter esperti e intelligenza artificiale. La piattaforma di Contents può offrire numerose soluzioni finalizzate a supportare la content strategy dei clienti. La nuova veste del prodotto nasce come conseguenza dell’analisi di un problema comune delle aziende: la necessità crescente di contenuti, a fronte della mancanza di tempo e risorse a disposizione dei team di marketing e comunicazione. Per questa ragione, dopo un’importante fase di testing, Contents intende offrire tutti gli strumenti utili per i vari step della content creation, lasciando all’AI il lavoro di routine e all’esperienza umana quello creativo e strategico. Con Francesco Magnocavallo, Chief Product Officer di Contents, vogliamo comprendere le nuove frontiere del giornalismo nel XXI secolo.
Come cambiano i contenuti e la professione giornalistica?
«In un mondo caratterizzato da complessità, il giornalismo almeno in teoria dovrebbe trovare un ruolo ancora più importante. Basti pensare ad argomenti come la finanza decentralizzata, che cambierà molto il nostro rapporto con il denaro: il grande pubblico ha un estremo bisogno di capire cosa succederà e come funzionano materie come questa. Il problema è che parallelamente il modello di business tradizionale del giornalismo si è corroso fino a diventare poco sostenibile e in molti casi anacronistico. Non è facile dire cosa succederà dell’informazione in questo contesto. Grandi giornali come il NYT hanno effettuato con successo la transizione al modello misto degli abbonamenti digitali. Il rischio è che aumenti la sperequazione tra una élite che si informa “bene” e un grande pubblico che fruisce di informazione puramente modellata sulle caratteristiche di Google e Facebook, sui tratti della nostra epoca come ad esempio le micro bolle identitarie. O peggio di informazione disegnata a tavolino per secondi fini di potere politico: il rischio è che i media di sintesi possano diventare uno strumento di abilitazione di uno scenario mediatico sempre più inquinato. Per questo OpenAI, che commercializza il più grande modello generativo di linguistica (il GPT-3 che anche Contents.com usa) impedisce del tutto la creazione di testo sintetico di argomento politico o in generale per automatizzare la pubblicazione sui social media».
Che ruolo gioca il digitale nella valorizzazione della creatività e della passione della scrittura?
«Vivremo di nuovo qualcosa che abbiamo visto nell’era dei weblog. Ci sarà una grande esplosione creativa e di conseguenza una grande difficoltà di reperire il materiale migliore o che si desidera. Il livello medio si abbasserà con una grande zona grigia discreta o mediocre, ma allo stesso tempo sarà possibile esprimersi a un numero molto più alto di persone. Una volta questo modello si chiamava pro-sumer (consumatore che produce) o pro-am (professionalizzazione dell’amatoriale). A questa fascia di arte intermedia contribuiranno sia gli esseri umani sia le macchine: la musica generativa nuda e cruda è accettabile ed economica ma non veramente interessante per un orecchio umano. Spesso ricalca in maniera tutto sommato prevedibile e scipita quanto già ha dimostrato di avere successo, come nel caso della musica pop. Poi pochi in cima alla piramide useranno questi strumenti con il know how e la sensibilità dell’artista vero e proprio. Tecnicamente molte di queste tecnologie funzioneranno in modalità assisted, come veri e propri assistenti interattivi: l’autore scrive un paragrafo e il modello generativo continua con un paragrafo. O per esempio generando una traccia da un input più scarno. Verso fine anno esploderà lo stesso mercato anche per le immagini sintetiche, che oggi sono un po’ indietro rispetto ai testi. A un livello più alto, nei centri di ricerca come quello di Disney e nei laboratori accademici, la materia ha un nome: computational creativity e computational narrativity. Sono domini estremamente interessanti e di frontiera divulgati poco anche nell’ambiente accademico».
Francesco Fravolini