Fregato? Sottomesso? Derubato? Ingannato? Sono sinonimi di una storia che va avanti da circa centosessant’anni. Stiamo parlando del meridione d’Italia sfruttato e oppresso dagli interessi industriali del nord. Non appassiona questa materia, ma saltano i nervi quando si constata che la parte lesa, depredata dai suoi averi, è anche quella che viene ingiuriata, offesa, umiliata, vilipesa in una maniera così indecente che né i Borbone né altri invasori avevano osato nei confronti di un popolo la cui nobile storia parte da lontano e dà lustro al resto della nazione.
Il saccheggio del meridione inizia con l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna (17 marzo 1861), a cura di Garibaldi e i suoi Mille. Eroi, mercenari o briganti ancora si discute.
Sino a quel periodo tutto il Sud era abbastanza fiorente con una produzione agricola che non conosceva disoccupazione e poche ma piccole e operose fabbriche.
Dopo qualche settimana che si sono abbassati i toni della protesta contro Vittorio Feltri, il quale si era scagliato contro il meridione d’Italia, mi è capitato tra le mani un eccellente studio dal titolo “Lo squilibrio tra Nord e Sud Italia” firmato da Flavio Simonelli, promessa futura della scienza medica che si è abbandonato alla passione per uno studio sull’annosa “Questione Meridionale”: una testimonianza in più su questa indegna vicenda.
Simonelli, per onorare la storia, ripercorre le tappe della razzia che decretò l’ascesa del Settentrione a danno del Meridione. E lo fa pubblicando dettagliate informazioni convalidate da tabelle, date, grafici, citazioni di celebri storici e valenti politici di ieri, insomma con prove inconfutabili.
<<La data di svolta – scrive Simonelli – si ebbe, tuttavia, con l’Unità d’Italia, in una situazione di guerra non dichiarata tra le due parti della penisola>>. E continua attingendo da Pino Aprile: <<Il 66% di tutti i soldi d’Italia erano nel Regno delle Due Sicilie e con loro le banche del Sud finirono al Nord a finanziare opere pubbliche e la nascita dell’industria>>. Prima di allora, secondo il giornalista Giuseppe Chiellino, “il Sud era quello che oggi è la Germania per l’Eurozona”.
Forte il ricordo di Gaetano Salvemini che nel 1911 così scrisse all’amico Alessandro Schiavi: “il Meridione era oramai diventato una colonia del Nord, pertanto, per potersi salvare non rimaneva che una soluzione: la secessione”.
Ma ancora più significativo è il riferimento che Simonelli riporta sulle riserve auree del Sud il cui valore, al momento dell’annessione, era di gran lunga superiore a quello di tutto il resto d’Italia messo assieme. Francesco Saverio Nitti, ex Presidente del Consiglio e più volte ministro del Regno d’Italia, nel 1903 attesta che il patrimonio dell’intera penisola italiana era di 668,4 milioni/oro di lire, al momento dell’annessione, ben 443,2 milioni provenivano dai forzieri del Regno delle Due Sicilie e soltanto 27 dal Regno Sabaudo.
Dal 1946 il Sud cadde nella più assoluta povertà accompagnata sino ai nostri giorni da mille pregiudizi che ancora vengono alimentati da beceri politici e giornalisti al soldo dei padroni.
I prodotti agricoli e alimentari, innanzitutto, non rientrano negli accordi di import-export internazionali, se non in minima parte. Questo perché devono essere privilegiate le produzioni del Nord.
Nel frattempo, lo Stato italiano dà, ogni anno, al Sud circa 85 miliardi in meno rispetto al nord, a parità di popolazione e per gli investimenti circa 6 miliardi in meno. Senza contare gli incassi che il Nord fa con le vendite di prodotti vari nel Sud, senza i quali rischierebbe un discreto fallimento.
Bruno Cimino