Bibite di fantasie, prodotti a base di tutto tranne che di quanto indicato. Questo e altro sarà chiaro con questo articolo.
Grazie ad una consapevolezza sempre maggiore, i consumatori sono sempre più attenti a quello che finisce sulle loro tavole e, per questo, anche sempre più inclini a comprendere le etichette dei prodotti alimentari che comprano. Eppure ancora troppi vengono tratti in inganno da claim fuorvianti strillati sulle confezioni, laddove invece una lettura più approfondita delle informazioni nutrizionali del prodotto deluderebbe rispetto al contenuto salutista pubblicizzato.
In tal senso la BEUC (Bureau Européen des Unions de Consommateurs, l’organizzazione che rappresenta le associazioni dei consumatori europei) scende in campo a difesa dei consumatori stilando il rapporto relativo, fruibile al seguente sito internet: https://www.beuc.eu/sites/default/files/publications/beuc-x-2018-049_our_recipe_for_honest_labels_in_the_eu.pdf
Le istituzioni europee si sono attivate per ovviare al vuoto legislativo che, finora, ha impedito di regolamentare in maniera univoca i metodi di etichettatura, ma il processo per giungere a un sistema comune si sta rivelando molto tortuoso.
La situazione poco definita e chiara pertanto in Italia e all’estero è foriera di comportamenti comodi e ingannevoli per le aziende.
Ecco le diciture più abusate dai produttori dell’industria alimentare
In primis, “naturale”. La più inflazionata sugli scaffali della grande distribuzione, insieme ad altri aggettivi che evocano una presunta genuinità ma che, secondo un recente rapporto della Safe Food Advocacy Europe, vengono spesso attribuiti proprio ad alimenti che contengono additivi, sostanze chimiche e ingredienti sintetici o che, comunque, sono elaborati artificialmente.
“Integrale” è una dicitura che si presta a un uso altrettanto ambiguo, dal momento che può essere apposta anche sulla confezione di prodotti da forno che contengono un mix di farina integrale e farina raffinata o ai quali crusca o cruschello sono aggiunti in un secondo momento.
Segue poi lo zucchero. “Senza zuccheri aggiunti” è diverso da “senza zucchero”. «Quest’ultima dicitura – spiega Antonella Borrometi, tecnologa alimentare di Altroconsumo – può essere applicata legittimamente solo ai prodotti che contengono una concentrazione di zucchero non superiore allo 0,5%. “Senza zuccheri aggiunti”, invece, vuol dire che non sono stati aggiunti mono o disaccaridi (come glucosio, fruttosio, saccarosio e così via), né qualsiasi altro prodotto alimentare dotato di proprietà dolcificanti».
In terzo posto, vi è “A base di…” o “preparato di” sono invece indicazioni decisamente ambigue. Bisogna fare attenzione ai prodotti sulla cui confezione viene enfatizzata la presenza di un ingrediente specifico (scritto in grande o rappresentato con un’immagine). In quei casi, infatti, è bene leggere la lista degli ingredienti nella quale è riportata la reale percentuale di quel prodotto impiegata nella ricetta. «Un esempio classico – prosegue Borrometi – è l’olio extravergine d’oliva, il cui utilizzo viene spesso vantato nella parte frontale del packaging, ma che nella lista degli ingredienti sul retro risulta presente in minima quantità, molto inferiore rispetto ad altri oli».
La trattazione e conclusione segue nel prossimo articolo sul portale… Restate con noi!