I tragici episodi di sangue trasformati in testi teatrali, dove ognuna recita la parte di un’altra, rappresentati in teatri stabili e nelle aule magne di molte universitarie italiane grazie a un’estensione del permesso di necessità con scorta previsto dal codice di procedura penale per motivi di salute o di lutto.
Nel documentario sociale c’è il racconto di episodi di sangue rivelato da un gruppo di donne, le quali testimoniano i loro drammi di vita. È il contenuto del film Cattività che esce su Chili, CGDIGITAL e ITUNES il 12 marzo 2021, distribuito da 102 Distribution. Il documentario è diretto da Bruno Oliviero e interpretato dalle attrici della Casa di Reclusione di Vigevano (Pavia), reparto di Alta Sicurezza: Teresa, Michela, Rosaria, Margherita, Marina, Maria A., Maria D., Federica, Maria C. Graziella, Magda, Carla, Diana, Sonia e Assunta. La produzione è QUALITYFILM e Flat Parioli con Rai Cinema e la Cooperativa Sociale Teatroincontro come produttore associato. La sceneggiatura è scritta dallo stesso regista con Mimmo Sorrentino e Luca Mosso, la direzione della fotografia affidata ad Alessandro Abate, il montaggio a Carlotta Cristiani. Il film è stato riconosciuto di interesse culturale, realizzato con il contributo economico del MIBACT – Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Direzione generale cinema, con il contributo di: Regione Lazio – Fondo regionale per il cinema e l’audiovisivo e con il patrocinio del Ministero della Giustizia e del MIBACT.
La storia
Cattività racconta il percorso di emancipazione avvenuto alle detenute nel Reparto di Alta Sicurezza femminile del carcere di Vigevano, attraverso un’esperienza quadriennale di teatro condotta da Mimmo Sorrentino, pluripremiato regista, drammaturgo e teorico del teatro partecipato, nell’ambito del progetto “Educarsi alla libertà”. Come ha scritto il prof. Nando Dalla Chiesa, uno dei testimoni importanti del film, non solo perché tra i maggiori esperti di criminalità organizzata al mondo, ma perché vittima di mafia, «il valore di questo progetto è incalcolabile perché queste donne, anche se non denunciano, non tradiscono, possono diventare un fatto esemplare per il paese». Queste donne di mafia, ‘ndrangheta e camorra hanno iniziato a raccontare a Mimmo Sorrentino la loro infanzia. Non solo. I tragici episodi di sangue a cui hanno assistito trasformando questi racconti in testi teatrali, dove ognuna recita la parte di un’altra, rappresentati in teatri stabili e nelle aule magne di molte universitarie italiane grazie a un’estensione del permesso di necessità con scorta previsto dal codice di procedura penale per motivi di salute o di lutto. I magistrati di sorveglianza hanno infatti stabilito, cosa unico nella giurisprudenza italiana, che per queste donne praticare cultura fosse necessario. Il risultato di questa esperienza è che la maggior parte di queste donne ha terminato di scontare la propria condanna e oggi si sono ricostruite una vita lontana dai contesti dove avevano commesso i reati e si sono inserite nella società come operaie, badanti, donne delle pulizie. Questa esperienza sottolinea fortemente la validità e la potenzialità della cultura a beneficio della collettività. Le donne protagoniste del documentario sono riuscite a raccontare e, come se fosse una catarsi psicologica, sono state liberate dal peso del ricordo e dal dolore degli avvenimenti vissuti in prima persona. Comprendere e raccontare significa riuscire a conoscere la propria personalità diventando un valore aggiunto per la società.
Francesco Fravolini