I “test screening” servono a capire cosa piace e cosa no, eventualmente per cambiarlo, e riguardano la maggior parte delle cose che poi vediamo al cinema.
Nel cinema i test screening sono molto diffusi e spesso determinanti.
Si tratta di proiezioni “preliminari” per un limitato numero di spettatori prima dell’uscita o del completamento di un film, per comprendere cosa piace e cosa no, a chi, che reazioni genera. I test screenings cinematografici sono radicati soprattutto nell’industria cinematografica hollywoodiana, più improntata sul marketing e alla profilazione degli spettatori, ma nel suo piccolo esiste anche in Italia.
Nel manuale Audience-ology, il libro-resoconto di Kevin Goetz, fondatore e amministratore di Screen Engine/ASI, una importante società statunitense di analisi cinematografica, si spiega che il primo a pensare di mostrare film a pubblici di prova fu Harold Lloyd, attore, regista e produttore molto attivo soprattutto nel periodo del cinema muto. Goetz racconta come già nei primi anni Venti del Novecento Lloyd iniziò a testare certe scene per capire che reazione generavano.
Goetz sostiene che nel 2021, il 90 per cento dei grandi film negli Stati Uniti è stato sottoposto in media da tre a dieci o quindici test screenings. Non si può risolvere tutto in una volta sola, poiché la prima proiezione può servire a capire cosa togliere, la seconda permette di capire come aggiustare un finale insoddisfacente o personaggi che non funzionano bene. Secondo Goetz, le proiezioni di prova discriminano maggiormente se e quanto qualcosa faccia ridere.
A tal proposito, Ben Stiller ha detto che «assistere al focus group di un tuo film è come stare nascosto nel bagno, alle superiori, e sentire cosa gli altri dicono di te».
Vi sono modifiche a film conseguite appunto a questa attività di “prova” al pubblico, come una scena dello Squalo del ritrovamento di un corpo in imbarcazione, o la prima scena di La La Land con la gente che balla e canta nel traffico, l’ultima del Matrimonio del mio migliore amico con il ballo di Julia Roberts e Rupert Everett o ancora l’ultima di Attrazione fatale del colpo di pistola, tutte parti amatissime di amatissimi film,che nei montaggi iniziali erano state scartate dai registi e incluse dopo che gli spettatori dei test screenings avevano espresso la loro opinione. Nel caso dello squalo, fu tuttavia il regista Steven Spielberg a capire che quella scena poteva, a fronte di un modesto investimento di tempo e soldi, generare un bello spavento in più.
A volte i test servono solo per cambiare titolo, altre succede invece che si fermi un film prima della fine così da chiedere agli spettatori come vorrebbero finisse.
Altri esempi riguardano Blade Runner, 007 – Vendetta privata, Titanic, Le ali della libertà, Quei bravi ragazzi, Viale del tramonto e Pretty Woman, Io sono leggenda e Rambo con due finali alternativi o di cui sono state tolte o aggiunte scene rilevanti.
Come è organizzato lo screening?
Un campione di spettatori rappresentativo, è invitato in certe sale ignari del film che si accingono a vedere. A proiezione terminata, sono invitati a offrire voti e opinioni e rispondere ad alcune domande sul film. Le domande determinanti in genere sono le prime due, entrambe con cinque possibili risposte. La prima è: «qual è stata la tua reazione generale al film?»; la seconda è: «lo consiglieresti ai tuoi amici?». Nel primo caso la scala delle risposte va da “eccellente” a “scarsa”, nel secondo da “assolutamente sì” ad “assolutamente no”.
Le modalità con cui gli spettatori sono scelti possono variare molto. Alcuni siti statunitensi cui registrarsi per essere eventualmente scelti, su internet, un utente raccontava che a Los Angeles si veniva avvicinati in un centro commerciale per vedere un film gratuitamente, e nel caso invitati a una proiezione e ad una di queste proiezione, il regista chiedeva cosa si pensasse di certe scelte con risposta per alzata di mano, ed il film in effetti integrò alcuni dei riscontri.
E in Italia?
Tra chi testa i film prima della loro uscita c’è la società milanese Ergo Research, attraverso il Movie Clinic, il nome con cui fa riferimento alle attività di misurazione e profilazione del potenziale di film ma anche di serie e programmi televisivi di ogni tipo.
Un paio di anni fa Michele Casula, uno dei soci di Ergo Research, aveva parlato intervistato da Rolling Stone di un caso pratico con cui aveva avuto a che fare, relativo a Veloce come il vento, film del 2016 con Stefano Accorsi:
E’ lecito dubitare dell’opinione che i registi abbiano della prova, rendendo i film “schiavi” ai gusti del pubblico. In Audience-ology è citato il regista Ang Lee, che disse: «Picasso non ha mai fatto testare dal pubblico i suoi quadri». Tuttavia Goetz sostiene che «se qualcuno suona il clacson e ce l’ha con te, magari è solo uno stronzo; ma se suonano in tre o quattro, lo stronzo sei tu. È lo stesso nei film: se 30 o 40 persone ti dicono che qualcosa non va, devi ascoltarle e pensare che magari non sta comunicando come vorresti. Mi piace dire che i test screenings non rovinano la visione del regista, bensì la concretizzano».