Cesare Romini, nato a Roma nel 1923, è morto il 24 giugno 2020 all’età di 97 anni. Manager, imprenditore e uomo chiave per la storia della Fiat, che ha dominato per quasi 25 anni, dal 1974 al 1998 nel ruolo di AD e Presidente.
Laureato in economia nel 1945, Romiti ha passato la sua carriera spostandosi da un incarico di rilievo all’altro. Principalmente in istituti bancari italiani e stranieri e aziende Italiane, per arrivare poi alla Fiat, prima come Amministratore Delegato e poi come Presidente. Lui stesso ammetterà che la sua è stato un vero predominio, dicendo che “In Fiat ho avuto praticamente carta bianca per venticinque anni”.
La carriera di Romiti è continuata anche dopo la Fiat, prima come Presidente della RCS Editori fino al 2004, poi alla Presidenza di Impregilo S.p.A. Nel 2005. Dal 2004 era Presidente della Fondazione Italia-Cina e dal 2006 al 2013 Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Senza contare riconoscimenti come la medaglia di Cavaliere del Lavoro, il titolo di cittadino onorario della Cina e molti altri.
Un successo continuo, anche se in prospettiva. Perché è Romiti che ha dato il via alla “diversificazione” della Fiat, spingendola a fare business in settori che non aveva mai affrontato, con risultati disastrosi. Che in molti additano come la causa di quello che è successo poi all’azienda.
Così come è Romiti l’uomo dietro la “Marcia dei 40.000”, un totale annientamento dei sindacati e, anche in quel caso, un passaggio, la nascita di un diverso rapporto tra azienda e sindacati.
Romiti è certamente stato un grande imprenditore, ma ha fatto davvero del bene alla Fiat e all’Italia?
Domenico Attianese