by Bruno Cimino
L’imprenditrice Maria A., proprietaria di un villaggio vacanze, si lamenta che per l’imminente estate 2022 alcuni suoi dipendenti stagionali hanno rifiutato il lavoro perché, dicono: “Ci accontentiamo del reddito di cittadinanza”.
Già! Il reddito di cittadinanza. Ottimo provvedimento sociale per fronteggiare l’inarrestabile disoccupazione. Ma quella italiana è una soluzione pataccata. Una copia imperfetta di quanto, tanto per fare un esempio, esiste in Australia da una cinquantina di anni, dove il disoccupato single riceve dal governo un fattivo sostegno economico di circa 642 dollari ogni due settimane (circa 420 euro). Gli uffici che si occupano del riavvio al lavoro, che sia produttivo oppure no, non importa, periodicamente suggeriscono agli interessati varie soluzioni di ricollocamento e almeno una volta al mese lo stesso deve documentare, con particolari dettagli, che si sta impegnando a cercare lavoro. Qualora perdurasse il rifiuto delle attività che gli vengono proposte, il rischio è quello di perdere il sussidio e quasi tutti i benefit legati all’assistenza sociale.
Il momentaneo sostegno economico (inclusa la Naspi) associato ad un percorso di reinserimento lavorativo, in Italia non funziona, perché evidentemente ci si accontenta di quanto viene erogato, arrotondando con qualche lavoretto extra in nero.
Forse anche questo genera deficit nella produzione, gestione e distribuzione dei servizi, siano essi di carattere amministrativo pubblico, privato o parastatale come pure nell’espletamento di attività edili, ortofrutticoli, metalmeccaniche, di produzione artigianale, di compravendite, ecc.
Difficile classificare le realtà del mondo del lavoro ed estrapolarne una dove tutto funzioni alla perfezione. Ogni giorno siamo sottoposti a subire discrepanze di ogni genere che vanno dalle visite mediche ospedaliere prenotabili non prima dei sei mesi se non addirittura dodici, e se si telefona “richiami perché le liste sono ancora chiuse”, al rilascio di una carta di identità o di un certificato in tribunale o alle tribolazioni di un processo in corso, penale o civile, che diventa ‘fine pena mai’.
Ci sono inoltre quei piccoli interventi dell’idraulico, elettricista, falegname, fabbro, meccanico che diventano un incubo e per i quali ti devi raccomandare a S. Giuseppe per garantirti la riparazione, la cui sola chiamata va dai 30 ai 50 euro.
Se poi ci si mette di mezzo una di quelle società che hai contattato (rimanga in linea per non perdere la priorità acquisita), per acqua, ama, luce, gas, tv, o per la consegna o il ritiro di un pacco o per un guasto telefonico, e chi più ne ha più ne metta, pensi che ti vogliono sfidare per vedere se resisti dentro casa dalle 09:00 alle 18:00.
E vogliamo parlare dell’acquisto di un’automobile che per contratto te la dovrebbero consegnare in tre mesi? La concessionaria ti telefonerà per dirti che non sanno quando l’auto arriverà. Anzi ti ricordano una clausola, che hanno evitato di farti leggere quando hai firmato, dove c’è scritto che il venditore si prende ulteriori quattro mesi dopo la prima scadenza di consegna.
Dunque, non c’è lavoro o piace vivere da vagabondi, come bamboccioni? Non conviene lavorare perché paga Pantalone, perché il lavoro è un’attività seria nei ricordi di altri tempi? Sarà mancanza di capacità professionale o di aver conseguito un titolo di studio regalato che porta il disoccupato a cercare lavoro e pregare Dio di non trovarlo? O che cosa?
Intanto, le statistiche informano che la disoccupazione si attesta al 10% e quella giovanile è al 30%. In termini numerici stiamo parlando di quasi tre milioni di disoccupati che molto probabilmente sperano in un aumento del reddito di cittadinanza. Se poi ci saranno nuove elezioni, le promesse pioveranno dal cielo.