Cavalier King Charles Spaniel, il cane della felicità

Per ogni padrone il proprio cane è il migliore, un po’ come per ogni genitore lo è il figlio…e voglio evitare la sterile diatriba se sia preferibile sceglierlo da un canile o da un allevamento…ognuno va dove lo porta il cuore e, ovviamente, il portafoglio, ma desidero spendere qualche parola verso una razza conosciuta forse più grazie ai film (Lilli e il Vagabondo, Adeline e l’eterna, giovinezza, The Young Victoria, ecc.): i Cavalier King Charles Spaniel.
Belli, buoni, socievoli, felici, coccoloni, fedeli, curiosi, con la superba coda sempre in movimento in segno di gioia…insomma, non esiste alcuna aggettivazione positiva che non possa essere attribuita ai Cavalier King Charles Spaniel.

La loro origine, in realtà, non si conosce, si dice che potrebbero discendere da piccoli Spaniel provenienti da Italia, Spagna, Francia o Olanda, ma gli unici documenti affidabili si trovano in Inghilterra dove furono i cani preferiti da molti sovrani, sia per la caccia che come compagnia delle dame nei palazzi dei nobili. Erano già conosciuti ai tempi di Enrico VIII (1491-1547), di Maria Stuart (1542-1587), tra le pieghe della sua gonna, si dice, dopo la decapitazione ne fu trovato uno, di Elisabetta I (1558-1603), di Carlo I (1600 –1649) che lo insignì del titolo reale di King Charles Spaniel, ma anche e soprattutto apprezzati da re Carlo II (1630-1685), che emise un editto ancora in vigore che ne permetteva l’accesso in qualsiasi luogo, compreso il Parlamento britannico. L’epiteto “Cavalier” venne loro attribuito proprio in onore di Carlo II. Le malelingue riportano che il sovrano preferisse giocare con loro piuttosto che occuparsi delle questioni di Stato.
Esiste una leggenda secondo la quale i progenitori della razza siano stati decapitati insieme al re e viene tramandato che i Cavalier ripensino a questo triste episodio quando si sdraiano e sembrano meditare con un’espressione tristissima in netto contrasto con la loro consueta e contagiosa allegria.
Anche la Regina Vittoria (1819-1901) aveva un Cavalier di nome Dash che fece seppellire nel parco del castello di Windsor con un toccante epitaffio sulla lapide.
Molti grandi pittori quali Tiziano (1488/90), Landseer (1802-1873), Van Dyck (1598-1641) e altri li hanno raffigurati nelle loro opere, mostrandoci l’evoluzione della razza che ha portato agli esemplari del nostro tempo.
Di piccole dimensioni si riconosce per le sue splendide orecchie lunghe, gli occhi dolcissimi ed una propensione ad essere sempre in stretto contatto con il proprio padrone.
Socievole e senza paure aprirebbe la porta di casa a tutti perché nella sua indole non esiste malizia né cattiveria. Particolarmente adatto alle persone anziane e ai bambini, spesso utilizzato nella Pet Therapy dove sta ottenendo ottimi risultati, il Cavalier è giustamente definito “il cane della felicità” forse perché il mondo appare ai suoi candidi occhi una primavera continua o forse perché scalda il cuore di chi ha la fortuna di possederlo.
Ne esistono quattro varietà: Black&Tan, nero con focature castane; Ruby, rosso intenso; Blenheim, con macchie castane su fondo bianco perla e Tricolore, con colori ben distinti.
Sono gran mangioni e i loro occhi fanno sempre credere di essere digiuni, ma bisogna fare attenzione perché, e questo è il vero limite, sono molto delicati ed hanno un’aspettativa di vita tra i 9 e i 14 anni. Tra le più frequenti patologie da cui sono affetti ricordiamo la siringomielia, ereditaria con tremendi dolori e danni neuronali causati dalla dimensione del cranio inferiore alla massa cerebrale; problemi cardiaci come la malattia della valvola mitralica che può causare insufficienza o addirittura la morte; problemi oculari ed uditivi.
Di positivo cento per cento di felicità!

Bruna Fiorentino

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