Di
Marino Ceci
Il politologo Lorenzo Castellani, docente di Storia delle istituzioni politiche all’università Luiss di Roma, interpreta i dati delle recenti elezioni politiche.
Dopo tre esecutivi, ed un arresto dell’ultimo con un semestre d’anticipo rispetto alla sua scadenza naturale, in seguito alla caduta dell’esecutivo guidato dall’ex presidente di Bankitalia e della Banca centrale europea Mario Draghi con la crisi di governo di fine luglio, i cittadini e le cittadine italiane sono tornati a votare per scegliere i 600 rappresentanti del popolo in Parlamento. Poco più di 46 milioni i chiamati alle urne sul territorio nazionale e, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, i 18enni hanno espresso la loro preferenza anche per i seggi del Senato – voto in precedenza riservato a chi aveva dai 25 anni in su.
Dai dati emerge un calo netto di italiani recatisi alle urne del 10 punti rispetto alle elezioni politiche del 2018.
Per capire come siamo giunti a queste votazioni, bisogna fare un passo indietro negli ultimi due mesi. Giovedì 14 luglio, nell’aula di Palazzo Madama, i senatori del Movimento 5 stelle non partecipano alla votazione congiunta su fiducia e sul testo del decreto Aiuti, a differenza di quanto successo alla Camera (in quell’occasione avevano votato la fiducia ma erano usciti dall’aula al momento della votazione sul testo del decreto). In quel frangente, il presidente del Consiglio era salito al Quirinale per rassegnare le sue dimissioni, respinte dal capo dello Stato che lo aveva rimandato alla Camere. Il 20 luglio, nel corso del suo intervento al Senato, Draghi chiede alle forze politiche se intendono ricostruire quel “patto di fiducia” su cui era nato l’esecutivo di unità nazionale nel febbraio 2021 per affrontare l’emergenza pandemica e la campagna vaccinale. Passa a maggioranza la risoluzione a firma Casini sulla fiducia al governo, ma, senza che però partecipino al voto tre di quelle forze che compongono il governo, M5s, Lega e Forza Italia. Così la mattina del 21 luglio, il premier risale al Colle per reiterare le sue dimissioni. Stavolta Mattarella le accetta e firma il decreto di scioglimento delle Camere.
Per un’analisi “a caldo “dei primi dati elettorali, Interris.it ha intervistato il politologo Lorenzo Castellani, docente di Storia delle istituzioni politiche all’università Luiss di Roma.
Egli rivolge l’attenzione al fatto che i due partiti più critici del governo Draghi, Movimento 5 stelle e Fratelli d’Italia, abbiano molto consenso. Nella competizione elettorale le forze politiche che intercettano meglio gli umori popolazione risultano più forti. Resta un Paese difficilmente decifrabile, dove sono slegati il Paese ‘legale, quello di governo e delle leggi, e il Paese ‘reale’, quello che poi vota”.
Ci spiega allora più nel dettaglio quale potrà l’impatto di questi risultati sulla coalizione di centrodestra, dove Fratelli d’Italia fino a non molto tempo fa era il soggetto politico più piccolo?
“La leader di Fdi è ora padrona del centrodestra, anche se dovrà concedere comunque qualcosa agli alleati. Una Lega così ridimensionata farà più fatica a imporre la propria linea, dato che in virtù del suo risultato la Meloni ‘tiene in mano le carte’. Forza Italia tra il 7% e l’8% diventa il partito più piccolo della coalizione ma non collassa e anche questo, cioè la presenza di un partito più moderato, rende più solida la vittoria del centrodestra”.
E per quanto riguarda invece l’area, più larga del centrosinistra, il fu “campo largo”?
“Il Partito democratico sembra andare secondo le attese, è calato un po’ dopo la caduta del governo Draghi e la sconfitta si materializza per via delle mancate alleanze. Il Movimento 5 stelle recupera in modo rilevante, per via della sua critica all’esecutivo e alla difesa delle politiche principali, il reddito di cittadinanza e il superbonus edilizio 110%”.
Quale peso specifico si profila per “terzo polo”?
“Esiste, è andato bene ma con questi numeri ha non tanto peso specifico. Soprattutto, quella di centrodestra sembra essere una maggioranza solida quindi il ‘terzo polo’ non ha una rilevanza strategica importante”.
Cosa ci dicono i dati dell’affluenza e dell’astensione?
“Abbiamo votato in un momento particolare: un periodo dell’anno in cui non si era mai votato, dopo un’improvvisa caduta del governo e una campagna elettorale non movimentata. Il Pd è rimasto nel suo recinto mentre Meloni si è dedicata a rendersi presentabile all’estero, per il resto gli altri leader sono da molto tempo in politica con le loro storie di esperienza e qualche ‘bruciatura’. L’elettorato del Sud non è stato molto mobile, verosimilmente è andato bene il Movimento mentre per il resto astensione”.
Quel che è certo è che il dado è tratto. Ora resta da vedere come si configurerà il prossimo Governo.