Il blu egiziano è un pigmento inorganico, sintetico e melmoso, tretrasilicato di rame e calcio
Era conosciuto dagli Egizi, Etrusco, Greci e Romani e fu usato anche nel medioevo e nel rinascimento.
È però considerato come il primo vero pigmento sintetico il cui processo di fabbricazione è strettamente connesso con la nascente produzione vetraria.
La scoperta del processo di fabbricazione è collocata intorno al 3100 a.C. ma solo negli anni 60 del 900 si è avuta una idea abbastanza chiara sulle materie prime e sui metodi di fabbricazione utilizzati dagli Egizi.
Il blu egiziano non è un vetro colorato dato che è composto da 3 fasi distinte: cristalli blu di cuprarivaite, vetro interstiziale e quarzo residuo; possono essere presenti anche calcio, rame e alcali in eccesso, lo si ottiene con quantità variabili di quarzo o sabbia silicea, carbonati di calcio e rame, eventualmente con l’aggiunta di fondenti alcalini.
Gli Egizi tuttavia non sempre impiegavano materie prime: come
fonte di rame si utilizzavano principalmente limatura di rame più o meno puro o
minerali rameici come la malachite.
Per la silice si usava quarzo macinato e sabbia del deserto che conteneva già
una percentuale sufficiente di calcare.
Per migliorarne il tono, il blu egiziano poteva essere macinato, impastato con acqua, confezionato in piccole sfere e nuovamente messo in forno.
Addirittura si può arrivare a 3 successive cotture per un totale di 100 ore.
L’uso del blu egiziano si estende fino al periodo tolemaico e si diffonderà in tutto il bacino del Mediterraneo, diventando in seguito il blu per eccellenza dei Romani con il nome di caeruleum.
Andrà poi lentamente scomparendo durante il Medioevo.
Benedetta Giovannetti