AVA, LA PASIONARIA

di Manuela Maccanti

La celebre fossetta sul mento, due occhi smeraldini graffianti come artigli, una fisicità prorompente. Moderna, emancipata, sensuale, indomabile, impetuosa: questo e molto altro era Ava Lavinia Gardner, nata nel 1922 in una fattoria del North Carolina, tra vacche da mungere e un accento talmente marcato che, al primo provino negli studi della MGM nel ‘41, aveva provocato un’interminabile risata tra i presenti. L’unico a non ridere era stato Louis Mayer, il dispotico e perspicace capo della Metro Goldwin Mayer che, in tempi non sospetti, era già pronto a scommettere che quella ragazzotta di campagna avrebbe bucato gli schermi di tutto il mondo. Scommessa vinta. Famosa, e forse un po’ cattivella, l’esternazione di Mayer: «Non sa recitare. Non sa parlare. Ma è il più bell’animale del mondo. Arruolatela!»

Così Ava era stata convocata per un secondo provino, stavolta muto, in cui doveva semplicemente guardare verso la macchina da presa e sistemare dei fiori in un vaso. Dopo mesi e mesi di corsi di dizione, portamento e recitazione, dopo dentisti, truccatori e maghi dell’immagine, per lei che candidamente ammetteva di avere letto solo due libri: la Bibbia e Via col vento «ma solo perché era ambientato dalle mie parti», inizia una scalata al successo inarrestabile.

Ava ebbe tre mariti (e un numero imprecisato di amanti). Il primo matrimonio è con l’attore Mickey Rooney, sposato a 19 anni, di cui era famoso il vorace appetito sessuale ma anche una latente pedofilia. Non a caso, la Gardner divorzia dopo appena un anno con l’amara scoperta che Rooney la tradiva, tra le altre, con una quindicenne. Poi è la volta del jazzista Artie Shaw, un prepotente travestito da presunto intellettuale che le fa dare lezioni di scacchi, la costringe a leggere libri e saggi finché, sentendosi sconfitto dall’intelligenza di Ava, diventa violento e lei lo molla. Il terzo e ultimo matrimonio, il più importante e il più tormentato, fu quello con Frank Sinatra, «un dio arrogante, che puzzava di sesso», come lo definisce la stessa Ava. La fiamma tra i due, entrambi possessivi e passionali, durò sei anni, dal 1951 al 1957 e non mancarono litigi, scenate di gelosia anche in pubblico e tradimenti reciproci. Finì con lui depresso (con due tentativi di suicidio) e lei in fuga verso la Spagna per dimenticare.

Ma come era partita la scalata al successo di questa donna così sicura di sé e intraprendente, eppure fragile, che non pensava affatto al cinema e sognava di diventare segretaria d’azienda?

Tutto era cominciato quando suo cognato, Larry Tarr, che aveva un piccolo studio fotografico a New York le aveva scattato alcune foto da mettere in vetrina. Il caso volle che Barney Duhan, un dipendente della MGM con la fama di sciupafemmine, si trovasse a passare di lì. Appena vide la Gardner ne rimase ipnotizzato, folgorato. Il resto è storia.

Oltre alla recitazione, si potrebbe riassumere la vita di Ava Gardner con tre A: Alcol, Amore, Alimentazione. Un pot-pourri di vizi, eccessi e trasgressioni che lei, sincera e spregiudicata, non ha mai smentito né nascosto. Memorabile la sbronza con Winston Churchill e la scommessa, vinta, con Grace Kelly (in cui reciterà in Mogambo insieme a Clark Gable con cui, ovviamente, intreccerà una relazione) che, conoscendola bene, le farà recapitare una bottiglia di Dom Perignon e un pacchetto di aspirine per curare il dopo-sbornia. Si racconta, poi, che la Gardner, arrivando in un hotel a Monastir per le riprese di uno dei suoi ultimi film, avesse ordinato in camera due cassette di pregiato vino bianco da dodici bottiglie. Nemmeno ventiquattro ore dopo, una cassetta era già vuota. Anche la sua alimentazione segue l’impronta irrefrenabile e sregolata che ha dato alla sua vita. Mentre le colleghe di Hollywood si sfiniscono in diete da fame e piluccano foglie di insalata per restare toniche, lei mangia, si abbuffa. Colazioni, pranzi e cene pantagrueliche a base di zuppe, pollo fritto, biscotti ipercalorici, litri di latte, torte di mele. Senza sensi di colpa. Della serie: dimmi come mangi e ti dirò chi sei. Gli amori, al contrario del cibo che la tranquillizza, le accentuano quell’insicurezza che si trascina da sempre. Come lei stessa ammetterà a fine carriera, tirando le somme: «non ho guadagnato nulla di buono dai miei amori, se non anni di psicanalisi».

Alla sua morte, avvenuta in Spagna nel gennaio del 1990 per una polmonite, l’American Film Institute la inserì al venticinquesimo posto tra le attrici americane più iconiche della storia del cinema. Nonostante film di successo mondiale con attori del calibro di Gregory Peck, Clark Gable, Humprey Bogart, Robert Mitchum, nessuno a Hollywood l’ha mai premiata con un Oscar.

Ma ad Ava, la «la creatura più bella mai apparsa sullo schermo» come la definì Woody Allen, non importava più di tanto. Nemmeno era sicura di saper recitare, come dichiarava lei stessa quando era già una diva di successo, indimenticata e indimenticabile.

Si dice che se sei destinato a diventare qualcuno, prima o poi ci riesci. Nel DNA della Gardner c’era già scritto. Occorreva solo pazientare.

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