Ovviamente, anche se Trump sembra uno squilibrato, l’uccisione del generale iraniano Quassem Soleimani non è stata una mossa dell’ultimo minuto. Il generale delle Forze Quds dei Pasdaran era nel mirino degli USA da ormai 18 mesi e, da maggio 2019, era stato messo nella lista dei bersagli da colpire come ritorsione dopo l’escalation nel Golfo.
Insomma, Quassem Soleimani, come riporta un reportage del New York Times, era già da tempo uno degli obiettivi degli USA. E, dal 31 dicembre 2019, quando una moltitudine di manifestanti iracheni ha preso d’assalto l’ambasciata USA a Baghdad, è circolata una nota top-secret, firmata d Robert C. O’Brien, che riportava anche altri obiettivi iraniani da colpire in caso di necessità:
- Una struttura energetica.
- Un nave di comando e di controllo usata dalle Guardie Rivoluzionarie.
- Colpire diversi funzionari con precisi Raid come: Abdul Reza Shahlai, comandante nello Yemen, e, ovviamente, Quassem Soleimani, il secondo uomo più potente dell’Iran.
Soleimani era uno degli uomini che più ha aiutato nella guerra contro l’ISIS, gestendo guerre per procura in Iraq, Siria, Libano e Yemen. Anche se, secondo le stime USA, alcune delle operazioni riconducibili a lui avrebbero ucciso 600 soldati americani solo in Iraq.
Di conseguenza, a partire dalla metà del 2018, Quassem Soleimani era già stato preso di mira dai piani americani, inserendo anche agenti per poter riportare tutti i suoi movimenti così, in caso di necessità, lo si sarebbe potuto raggiungere facilmente. Come poi è successo.
L’obiettivo era nel mirino da parecchio tempo, ma il problema non è quello. Il problema è: che diritto avevano gli americani di premere il grilletto? Perché? Quanto durerà ancora questo “facciamo quello che vogliamo”, rischiando di causare problemi di entità internazionale, se non mondiale, mentre loro se ne stanno dall’altra parte dell’oceano senza nemmeno avere idea di dove si trovi l’Iran?
Domenico Attianese