Lei si chiama Cinzia e sta chiedendo aiuto al mondo per quello che sta attraversando a causa di una condizione economica dalla quale proprio non sa come uscire.
Già vittima di violenza, si è sempre arrangiata da sola, con tre figli minori a carico rispettivamente di quattordici, tredici e dieci anni. Un lavoro precario e poi il nulla, un affitto incapace di pagare, tante parole di conforto da parte dei Servizi Sociali, ma senza alcun riscontro pratico.
Il luogo in cui si trova appartiene all’INPS ed è chiamato “Il Colosseo”, a Latina, dove pullulano abitanti abusivi di tutti i generi. Certo è che il decreto che prevede gli sgomberi al setaccio, non sembra guardare in faccia nessuno, nemmeno una mamma (italiana, se questo può essere sinonimo di garanzia) già provata dalla vita e ancora oggi in cerca di un appoggio concreto da parte di un ente privato o statale.
Cinzia ci racconta la sua precarietà, mobili precedentemente regalati che ora deve buttare.
Ci racconta la forza che è costretta a reinventarsi per consolare il pianto dei suoi figli in preda alla paura e al profondo senso di abbandono. Si sente una cattiva madre, per non essere ancora riuscita a dare stabilità ai suoi figli. In mezzo a tanti altri sfollati si domanda che fine farà, chi la sosterrà e dove andrà a finire.
Abusiva per salvare i suoi bambini, oggi si ritrova inerte, in procinto di traslocare per strada.
“So di non essere in regola -ammette – ma sono stata costretta per non finire sul marciapiede e per aiutare i miei figli”. Aggiunge che a destabilizzarla sono stati i modi in cui la stanno inducendo ad uscire, l’ingresso traumatico da parte delle forze dell’ordine, l’inerzia da parte dei servizi sociali che l’hanno soltanto consigliata di lasciare i bambini in qualche dormitorio, senza tener conto dei loro problemi tragici legati al passato e alla violenza domestica che li aveva già psicologicamente segnati.
Un appello al nulla accorato, quello di Cinzia, che si aggrappa ai social, a qualche commento di solidarietà, derubata della speranza, della sua stessa dignità.
Eleonora Giovannini