64mo governo della Repubblica Italiana

L’oracolo ha girato la ruota delle poltrone destinate al 64mo governo italiano (dalla prima legislatura). Si è fermata sul nome del nuovo uomo del destino, Mario Draghi che, apprendiamo dai giornali, tutta l’Europa ci invidia, e su chi avrà le chiavi delle porte del potere sociale, ossia 23 ministri, di cui 15 uomini e 8 donne: Di Maio (Esteri), Lamorgese (Interno), Cartabia (Giustizia), Lorenzo Guerini (Difesa), Franco (Economia), Giorgetti (Sviluppo economico), Patuanelli (Politiche Agricole), Cingolani (Ambiente e Transizione ecologica), Giovannini (Infrastrutture), Bianchi (Istruzione), Messa (Università), Franceschini (Cultura), Speranza (Salute), Gelmini (Autonomie), Colao (Innovazione), Andrea Orlando (Lavoro), Carfagna (Sud e coesione), Brunetta (Pubblica amministrazione), D’Incà (Rapporti con il Parlamento), Dadone (Politiche giovanili), Bonetti (Pari opportunità e famiglia), Stefani (Disabilità), Garavaglia (Turismo)

È stata concessa ancora una “Speranza”  laddove, da oltre un anno, maggiormente si concentra l’attenzione per la salute pubblica.
La d’-Istruzione non ha prevalso: il popolo dovrà confidare nell’uomo a cui è stato conferito uno dei due incarichi più bollenti che mai ha appagato le aspettative degli interessati. Una volta i “Bianchi” guelfi, signori di casta, aborrivano qualunque ingerenza nel governo della città, ed erano ben disposti verso il popolo, oggi auspichiamo che il nuovo ministro lo sia verso insegnanti e studenti.
Vale citare questi due dicasteri perché sono quelli sui quali poggia la civiltà di una nazione. Tutto il resto sono delle loro emanazioni, se con conseguenze positive o negative dipenderà, appunto, dalle capacità operative dei due accennati.
Il loro primogenito, il Ministero dell’Ambiente, (citiamo solo questo) è quello che ha la responsabilità di accudire l’unico pianeta dove poter vivere. Ad oggi abbiamo navigato alla deriva, poche volte abbiamo esultato per aver intravisto qualcosa di interessante sulla terraferma chiamata “Costa”. Tuttavia, in questo dicastero ora in discussione, esisteva già l’idea illuminante, con apposito dipartimento, per concretizzare una “transizione ecologica”. Per quello nascente (imposto?) nessun nuovo uomo del destino avrebbe potuto rifiutare. E allora? Cosa c’è di nuovo sotto il sole? Facile: ci sono da gestire 69 miliardi previsti come capitolo di spesa dal Piano nazionale per accedere ai fondi del Next Generation Ue. La garanzia? Sono scesi in campo pezzi da novanta provenienti da un mo-vi-mento, da esempi di altri Paesi Ue, addirittura da rappresentanti del Wwf e di Legambiente, garanti del fatto che, si dice, “il nuovo Ministero della Transizione ecologica  punta a creare una struttura ad hoc, forte, autorevole e competente per favorire la transizione ambientale, visto che il 37% delle risorse messe in campo dal Recovery Fund serviranno a finanziare azioni per il clima e la biodiversità”. L’esclamazione è d’obbligo: ma che meraviglia! I cittadini sono tutti fiduciosi! Perché, dal 1948 c’è stata qualche volta che Nicola, Maria e Antonio non sono stati ottimisti sulle intenzioni dei nuovi governi che prendevano il posto dei precedenti? Tutta la fiducia di questo mondo! Anche sul fatto che questo dicastero potrebbe accorpare Sviluppo Economico e Ambiente (e parte delle Infrastrutture)!
Nessuna ironia: chiederò al direttore del giornale di non fare archiviare questo articolo una volta pubblicato, tra non molto, probabilmente solo cambiando qualche aggettivo e sostantivo lo potrò riproporre, con lo stesso taglio, senza doverne scrivere un altro.

Bruno Cimino

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