Tra il 1816 e il 1822 Manzoni compose una tra le tragedie storiche più belle che siano mai state scritte: l’Adelchi.
Ambientata nel VIII secolo, in un’Italia divisa tra Longobardi, Franchi e Stato della Chiesa, l’opera è fondamentalmente incentrata sulla sconfitta longobarda da parte del sovrano Carlo Magno (re dei Franchi), ma è la figura della giovane principessa Ermengarda a rendere questa tragedia indimenticabile.
Ermengarda, figlia del re longobardo Desiderio, viene presa in sposa da Carlo per puro calcolo politico e successivamente umiliata e ripudiata.
Ella appartiene certamente alla schiera delle eroine romantiche, e pur lasciandosi morire nel convento di Brescia (vinta dalla disperazione di un amore in cui ella ha, invece, fermamente creduto), non risulta affatto, come vorrebbe il prototipo del suo personaggio, fragile e indifesa, bensì animata da una passione travolgente.
Colpita nel cuore e nella sua dignità di donna, osserva Armellini, si rivela invece fiera, tenace e coerente.
Il coro dell’atto IV della tragedia irrompe improvvisamente nella scena e funge da solenne epilogo nella vicenda della principessa che, in compagnia di sorella Ansberga, si abbandona gradualmente alla morte, unico possibile antidoto a quel “tremendo amor” che offusca i suoi pensieri: «Sparsa le trecce morbide sull’affannoso petto, lenta le palme, e rorida di morte il bianco aspetto, giace la pia, col tremolo sguardo cercando il ciel».
Ermengarda, nel delirio, rivive con tono passionale la meravigliosa storia d’amore con re Carlo (e questa è decisamente un’eccezione nell’opera manzoniana), mentre con la mente insegue ricordi ormai lontani. Il contrasto tra il prima e il dopo risulta agghiacciante: da bellissima regina e moglie invidiata di un giovane e valoroso sovrano a donna ripudiata che vaga come un’ombra nel chiostro del convento.
Il ricordo dei giorni felici non le concede un secondo di pace e si trasforma gradualmente in ossessione. Proprio come il sole che «sale e brucia la volta del cielo» e con un calore senza tregua riscalda l’aria e la rende immobile, allo stesso modo dall’oblio del suo pensiero riemerge l’amore assopito: «Ratto così dal tenue obblio torna immortale l’amor sopito, e l’anima impaurita assale, e le sviate immagini richiama al noto duol». La vendetta di Desiderio, offeso come padre e sovrano, non può attendere…
Ambra Belloni