L’OMS ha dichiarato lo Stato di emergenza internazionale di Salute Pubblica in Congo dove in meno di un anno, a causa di ebola, sono morte circa 1.700 persone.
L’epidemia di ebola nella Repubblica Democratica del Congo è diventata emergenza internazionale di Salute Pubblica: lo ha deliberato pochi giorni fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dicendo che il virus ha infettato più di 2.500 persone e ne ha uccise quasi 1.700, da quando si è diffusa nell’agosto del 2018. Ogni giorno vengono segnalati in media 12 nuovi casi.
La decisione è stata presa dal Comitato istituito dall’OMS, che si è riunito a Ginevra per la quarta volta dall’inizio dell’epidemia nel paese africano. A preoccupare gli esperti è stata proprio l’espansione geografica dell’epidemia, con i casi che ora coprono un’area di 500 chilometri quadrati.
La situazione era stata giudicata particolarmente allarmante già nelle settimane scorse dopo il primo contagio avvenuto a Goma, che con circa un milione di abitanti è la città più grande del paese a essere coinvolta nell’epidemia, dove è morto il pastore infettato che aveva viaggiato in autobus dalla città nord-orientale di Butembo e dove i casi sospetti sono 22, come riferito da un portavoce del ministero competente, ma non direttamente correlati a quello del pastore. Naturalmente i contatti diretti con l’uomo sono stati sottoposti a vaccinazione.
Allo stesso tempo anche l’Unicef ha lanciato un’allerta per la tragedia che sta colpendo in particolar modo i bambini: in Congo, 750 sono stati attaccati dal virus Ebola (31% dei casi) ed il 40% ha meno di 5 anni. “Prevenire i contagi fra i bambini deve essere al centro della risposta all’Ebola – ha avvertito Marixie Mercado, portavoce dell’Unicef al Palazzo delle Nazioni a Ginevra – Inoltre, c’è anche un’altra grave emergenza da affrontare: i bambini rimasti orfani a causa della malattia hanno bisogno di cure e supporto a lungo termine, fra cui la mediazione con le famiglie allargate che spesso si rifiutano di accoglierli”.
Per l’OMS, quella in Congo è la seconda epidemia di ebola più grande di sempre, dopo quella che colpì l’Africa occidentale tra il 2014 e il 2016, quando morirono più di 11 mila persone. Ai tempi non erano disponibili vaccini e trattamenti molto efficaci, ma ancora oggi la situazione è resa comunque difficile dall’instabilità della Regione, dagli attacchi al personale medico e dalla riluttanza delle persone a farsi vaccinare. Circa il 40% di chi contrae il virus non si presenta nei centri allestiti per la cura e muore in casa, così rischia di contagiare i familiari, gli operatori sanitari e i pazienti delle cliniche locali dove queste persone potrebbero essersi recate per curare i primi sintomi della malattia.
“È tempo che il mondo prenda coscienza e raddoppi gli sforzi – ha affermato il direttore generale dell’OMS Thedros Adhanom Ghebreyesus – Dobbiamo lavorare insieme in solidarietà con il Congo per mettere fine all’epidemia e costruire un sistema sanitario migliore. Un lavoro straordinario è stato fatto per quasi un anno nelle circostanze più difficili. Dobbiamo a questi operatori un contributo maggiore”.
Anna Rita Felcini