L’Italia registra una delle percentuali più alte nel panorama europeo
La piaga dell’abbandono scolastico è il nemico contro cui le istituzioni italiane combattono da sempre. Tra i dati forniti dall’indicatore europeo per la quantificazione del fenomeno ovvero l’ELET (early leavers from education and training) abbiamo quelli di riferimento al 2018 nei quali la percentuale registrata è pari al 14,5%, facendo classificare l’Italia in coda alla graduatoria europea con a seguire solo Romania, Spagna e Malta. Il fenomeno risulta più intenso al Sud e alla sua base ci sono principalmente cause economiche, sociali e culturali. I giovani tra i quali l’incidenza è maggiore sono quelli che provengono da famiglie svantaggiate e con un basso livello di istruzione. I numeri italiani a riguardo risultano preoccupanti, soprattutto se confrontati con quelli di altri paesi europei. La crisi economica in corso genera tra i ragazzi una profonda disistima nella possibilità dell’istruzione di garantire loro un futuro migliore. Inoltre le condizioni di sofferenza crescente delle famiglie portano quelle maggiormente in difficoltà ad instradare precocemente i figli al mondo del lavoro. In una società ormai globalizzata, in cui la crescita tecnologica è rapida e i cambianti sociali e del mercato sono repentini, è fondamentale che i giovani abbiano un alto livello di istruzione che garantisca loro quella capacità di aggiornarsi costantemente in relazione ai sempre nuovi sistemi di produzione. Questa particolare abilità è data dallo sviluppo di due qualità denominate nell’ambito degli studi pedagogici “metacognizione” e “flessibilità mentale”, acquisibili e potenziabili solo attraverso un accurato percorso di istruzione. La prima fa riferimento alla capacità di essere autonomi nell’apprendere nuove cose; la seconda coincide invece con la capacità di modellarsi e reinventarsi a seconda delle sempre nuove esigenze del mercato. Insieme queste qualità garantiscono la formazione di un nuova generazione in grado di offrire alla società una classe di lavoratori competitivi, perché capaci di essere al passo con i cambiamenti tecnologici e del mercato. Queste dinamiche così sottili, ma allo stesso tempo importantissime, sfuggono però alla maggior parte dei ragazzi e delle famiglie che vedono nella scuola sono uno strumento per apprendere conoscenze tecniche direttamente spendibili nel mondo del lavoro. La formazione di un pianeta globalizzato non è più, quindi, volta alla mera acquisizione di nozioni o semplici abilità pratiche ma al raggiungimento di competenze trasversali che renderanno i ragazzi capaci di aggiornarsi ed adattarsi in un mondo in rapido cambiamento.
Glenda Oddi