Un’indagine americana ha fatto rivivere pietanze di più di 3000 anni fa.
La tendenza gastronomica del momento è la ricerca di nuovi sapori e tradizioni a tavola. Per gli appassionati del settore la risposta più curiosa e stimolante viene dall’archeologia gastronomica, una disciplina che, attraverso le fonti scritte e le tracce storiche, ricostruisce le abitudini alimentari delle popolazioni antiche. Un’indagine al riguardo è stata realizzata un paio d’anni fa a New York da un’equipe di esperti di antichità e cuochi ed ha fatto rivivere alcune pietanze babilonesi. Il “ricettario” originale consisteva di tre tavolette in caratteri cuneiformi rinvenute diversi decenni fa durante gli scavi condotti a Larsa (Iraq). Risalgono al 1.800 a.C. e sono, con tutta probabilità, le indicazioni gastronomiche più antiche a noi pervenute. Le 25 pietanze descritte in esse sono state per lungo tempo considerate impossibili da replicare, non tanto per la complessità della preparazione, quanto per il fatto che molti ingredienti risultavano sconosciuti o impossibili da reperire. Un esempio è l’amursano che ricorre in più ricette ed è un tipo di piccione estinto ormai da tempo, o il samidu, spezia anch’essa ormai perduta. L’equipe che ha portato a termine la curiosa impresa era composta da ricercatori di Yale e Harvard e da esperti di cucina antica. L’emozionante esperienza culinaria è stata poi condivisa col pubblico degli ospiti della New York University in un giorno dedicato appositamente alla disciplina dell’archeologia gastronomica. Le pietanze descritte si sono rivelate in alcuni casi molto distanti dal moderno gusto occidentale (come nel caso del brodo di agnello preparato con latte e sangue dell’animale) in altri invece più vicine (come nella zuppa di porri, cipolle e grano). I ricercatori hanno supplito lasciandosi guidare dal gusto alla mancanza dell’indicazione della quantità degli ingredienti e all’impossibilità di reperire alcuni di essi.
Glenda Oddi