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Pasta incriminata

Indro Montanelli sosteneva che la corruzione comincia con un piatto di pasta, in questo caso il problema lo si ha a monte, diciamo addirittura nel momento della produzione della pasta stessa.
Call It a Crime of Pasta, questo è il titolo della prima pagina del New York Times  di qualche giorno fa. Titolo di un interessante reportage del giornalista Jason Horowitz, nel quale si porta in auge la preoccupazione delle signore baresi produttrici di pasta.
Un’attività che le donne di Bari di qualsiasi età svolgono per molte ore al giorno da centinaia di anni, ma che dallo scorso autunno sarebbe diventata un bersaglio per le autorità comunali e non solo.
Pensare che i produttori di orecchiette di via dell’Arco Basso nella città costiera meridionale hanno attratto, e attraggono tuttora, i turisti delle navi da crociera, oltre ad aver reso Bari una delle dieci migliori destinazioni d’Europa secondo la Lonely Planet.
La stessa caratteristica via ha anche ispirato Dolce & Gabbana per girare uno spot con le figlie di Sylvester Stallone che vestite di nero ballavano con le nonne che setacciavano le orecchiette con le dita.
Tutto questo fino appunto a qualche settimana fa, quando i funzionari locali hanno messo sotto la loro lente questa parte della città vecchia, perché considerata la scena di un “crimine”.
L’inizio della repressione delle orecchiette, sarebbe partita a metà ottobre, quando gli ispettori della polizia hanno arrestato un ristoratore che serviva delle orecchiette che non erano rintracciabili. Questo viola le normative italiane e dell’Unione Europea che pretendono la provenienza di ogni cibo che venga servito in un luogo pubblico.
Il fatto ha ovviamente avuto delle ripercussioni sulle donne che producono la pasta, dato che esse sarebbero autorizzate a vendere piccoli sacchetti di plastica di pasta per uso personale, ma non a consegnare grandi spedizioni senza etichetta ai ristoranti.
La popolazione locale, produttori e consumatori, teme di dover indossare le retine per capelli, emettere scontrini e ricevute e pagare le tasse.
Ora sta al sindaco, Antonio Decaro, e agli addetti ai lavori dover risolvere questa situazione: chiudere un occhio sull’usanza locale che ha esaltato la città nel mondo oppure applicare il regolamento cercando di spegnere l’orgoglio locale di questa pratica.

Riccardo Pallotta

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