Sembra strano dover difendere la legittima difesa. Perché in uno Stato di diritto, fondato sul cosiddetto “patto sociale”, ove i diritti sono speculari e intersecanti ai doveri, dovrebbe apparire logico far valere il diritto all’incolumità propria e di chi si ama, piuttosto che salvaguardare i propri beni.
E invece così non è. Perché molteplici sono i casi in cui una persona, costretta a difendersi da un’aggressione reale o potenziale, si ritrova poi indagata, processata, a volte addirittura condannata, in uno stillicidio di sofferenza umana, psicologica, economica.
Perché l’attuale formulazione del dettato normativo, ossia l’articolo 52 del Codice Penale, in realtà si presta a variegate e a volte fantasiose interpretazioni. E così accade che una persona, che uccide un rapinatore entrato in casa senza che vi sia alcun contatto fisico sia indagato per 22 mesi e poi prosciolto, e accade che un’altra persona, che di notte sorprende un intrusore, spara durante una aggressione, ferisce il ladro, il quale viene trasportato dai complici in aperta campagna, ove poi muore, sia imputato per eccesso colposo di legittima difesa. Non servono altri esempi per comprendere quanto sia necessaria una riforma di questo istituto, che preveda una presunzione di proporzionalità tra la difesa e l’offesa, e che elimini l’obbligo, per chi si trova costretto a difendersi in casa propria, di dimostrare la propria innocenza, in una storpia inversione dell’onere della prova. L’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, audito in Commissione Giustizia al Senato sul disegno di legge di riforma, ha proposto alcuni suggerimenti, tutti accolti, che prevedono l’impossibilità per i familiari di un aggressore ucciso per legittima difesa di chiedere il risarcimento dei danni in sede civile, di spese legali a carico dello Stato per chi, indagato o imputato per eccesso colposo di legittima difesa sia stato poi prosciolto o assolto, nonché quanto al furto in abitazione e lo scippo, di subordinare la sospensione della pena al risarcimento integrale del danno in favore della vittima. E ciò, poiché si è pensato che una persona che subisce un furto, più che vedere il ladro condannato a una pena sospesa, preferisce certamente che la sospensione della condanna sia subordinata a restituire il maltolto o a risarcire il danno causato.
Riformare la legittima difesa (nonché la disciplina del furto) è una necessità richiesta anzitutto dal buon senso, nonché dalla necessità di riequilibrare il ruolo della vittima e quella dell’autore del fatto di reato. Perché chi spara in casa propria per difendersi da un’aggressione vera o presunta non può essere assurto al delinquente che, allorquando commette un delitto, si assume il rischio che dalla sua azione crimonosa possano derivarne conseguenze impreviste, ma prevedibili.
La vita di chi si ritrova indagato per eccesso colposo di legittima difesa cambia completamente, a livello personale, familiare, economico. Non rari sono i casi di cittadini che, costretti a ferire o uccidere per difendersi, sono stati travolti da un turbinio giudiziario che li ha costretti a vendere la casa o cedere la loro attività per pagare le spese legali, perché è ovvio ritenere che per chi rispetta le leggi e le regole pare assurdo dover subire anni di indagini e processi per poi vedersi condannati. E soltanto per essersi difeso.
Elisabetta Aldrovandi