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Ambiente & Società

Messico: quando la politica diventa una condanna a morte

L’assassinio di Acasio Flores Guerrero, sindaco di Malinaltepec nello stato di Guerrero, è l’ennesima testimonianza della grave crisi di sicurezza che attanaglia il Messico, una nazione dove l’esercizio della politica può costare la vita. Rapito il 20 giugno da un gruppo di abitanti coinvolti in un conflitto agrario con il municipio, il suo corpo senza vita è stato rinvenuto in settimana, segnando l’ennesimo episodio di violenza contro un pubblico ufficiale. A rendere ancor più inquietante questo crimine è il fatto che i responsabili restano tuttora sconosciuti, un dettaglio che contribuisce a rafforzare l’impressione di un’impunità dilagante.

Condanne che risuonano vuote e inutili

Le parole di condanna del governo municipale, che ha definito l’atto come un attentato “che supera i limiti del dialogo e della ragione”, suonano come un’eco disperato in un Paese che assiste, impotente, alla continua strage di chi rappresenta lo Stato. Anche la governatrice di Guerrero, Evelyn Salgado Pineda, ha espresso la sua “ferma condanna” per l’accaduto, offrendo le sue condoglianze alla famiglia, ma tutto questo non basta a nascondere una realtà profondamente radicata nel tessuto politico e sociale del Paese: essere un sindaco in Messico equivale a camminare costantemente sul filo del rasoio.

Il caso di Acasio Flores non è isolato. Infatti nelle stesse ore in cui si diffondeva la notizia della sua morte, veniva confermato l’atroce omicidio di Alejandro Arcos Catalán, sindaco di Chilpancingo, decapitato appena una settimana dopo il suo insediamento. La sua morte, come quella di molti altri, sembra riportare il Messico a uno dei periodi più bui della sua storia recente, quando la violenza dei cartelli della droga dominava incontrastata e le esecuzioni pubbliche venivano utilizzate come strumento di terrore.

Epicentro della violenza dei cartelli

L’omicidio di Arcos Catalán è solo uno tra i tanti episodi che negli ultimi anni hanno caratterizzato la guerra tra i cartelli in Messico, soprattutto nello stato di Guerrero, una delle regioni più colpite dalla violenza. Non è un caso che Chilpancingo, la città da lui governata, sia stata al centro di sanguinosi scontri tra gruppi criminali rivali che cercano di controllare l’economia locale. Una violenza che, nonostante le promesse elettorali, continua a dilagare sotto l’amministrazione del nuovo presidente, Claudia Sheinbaum, la cui campagna aveva cercato di minimizzare il problema.

L’assassinio di Arcos, come quello di Flores Guerrero, non è solo una tragedia personale o locale. È un chiaro segnale della fragilità delle istituzioni messicane, incapaci di garantire protezione ai propri funzionari e, di conseguenza, ai propri cittadini. Il Messico, con un tragico record di 41 candidati uccisi nelle recenti elezioni, continua ad essere uno dei Paesi più pericolosi al mondo per chi ricopre incarichi pubblici.

Un futuro che resta incerto: la violenza come ostacolo al progresso politico e civile

Ciò che rende ancor più allarmante questa situazione è la percezione diffusa che la violenza non sia destinata a fermarsi. La recente ondata di omicidi, le decapitazioni e le esecuzioni sommarie ci ricordano che la brutalità dei cartelli non conosce limiti, mentre il governo continua a promettere soluzioni che faticano a concretizzarsi. La nuova presidente Sheinbaum ha annunciato l’imminente presentazione di un piano di sicurezza nazionale, promettendo di migliorare l’intelligence e la capacità di risposta dello Stato, ma resta da vedere se queste misure riusciranno a frenare l’escalation di violenza.

In tutto questo, i cittadini continuano a vivere nel terrore, sapendo che ogni nuova elezione potrebbe essere segnata da morti e violenze, e che chiunque scelga di entrare in politica rischia la vita. L’omicidio di Arcos, il terrore seminato dalla sua decapitazione e il brutale rapimento e omicidio di Flores sono la prova tangibile di un sistema in cui la politica è diventata una battaglia per la sopravvivenza, più che per il progresso. Il Messico è intrappolato in un circolo vizioso di violenza e corruzione, dove la lotta per il potere è segnata dal sangue e dalla paura.

Le morti di Acasio Flores Guerrero e Alejandro Arcos Catalán rappresentano non solo la fine tragica di due vite, ma un simbolo di un problema molto più grande. In un Paese dove la violenza sembra essere la risposta alla politica, le istituzioni sono costantemente minacciate e chi cerca di servire il pubblico è costretto a farlo con il terrore di pagare con la propria vita.

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