Image default
Arte & Cultura

Sebastiano Celeste

In arte Nino, Direttore della fotografia, chiamato anche “il poeta della luce”.

By Laura Tenuta

“Quello che fa la macchina da presa, ed è l’unica cosa che fa, è fotografare il pensiero” (Orson Walles)

Inizia nell’ambiente del cinema come comparsa negli anni ‘50, ingaggiato come schiavo ne Il gladiatore.

Attirato dal rumore della macchina da presa, fuggiva dalla scena per stare dietro le quinte.

Conosce Giulio Albonico, direttore della fotografia, nella speranza di poterlo seguire. Inizia a tampinarlo, passa un mese e Giulio ne chiede il passaporto e lo conduce con se, per un documentario in Africa.

Collaborano per dei documentari, poi arriva il film, rito iniziatico come operatore alla macchina, regista Nelo Risi, titolo Diario di una schizofrenica, primo premio a Venezia.

I media fissano l’attenzione sulla luce e i movimenti di macchina, Nino decolla, è il Caravaggio della pellicola.

Film dopo film, incontra Dacia Maraini, Roberto Faenza, Liliana Cavani, la cerchia di allarga.

Una vita trascorsa dietro la macchina, collabora per Zorro con Alain Delon e film musicali ad Hong kong.

Chiamato da Giuliano Carnimeo, finalmente direttore della fotografia con Simone e Matteo, anche lo stipendio cresce, ma cosa dire a Delon che lo avrebbe abbandonato? Finge una frattura alla gamba, sana bugia.

Nino ha ormai il mestiere in mano, passa una vita iniziando con Grandi Magazzini, lavora per tutte le serie della Piovra.

Arriva La squadra, Un posto al sole, Agrodolce e Sotto Casa, Vento di Ponente ma, soprattutto, si trova dinnanzi il cult.

Sono gli anni di Pier Paolo Pasolini, Carlo Lizzani, Lucio Fulci, Enzo Castellari.

Attrazione profonda per il film Le Moulin de Daudet dove domina la luce, richiamo a Vermer e Caravaggio, il Celeste dà sfogo alla sua passione e quella luce intorno a cui ruota la sua maestria.

Per lui ogni film è uno spicchio della sua vita, suo favorito Le Moulen de Daudet, ma di cosa parla questo cult non distribuito in Italia?

La trama parla di uno scrittore che in un momento in cui i testi decadevano, scrive sei episodi per bambini.

Ambientato nel 1500 e 1800, film in costume che ha riservato a Nino soddisfazione poichè c’è una luce che da Caravaggio arriva alla scuola fiamminga, ancora una volta la luce che ha la meglio.

Gira spesso in Albania. Arriviamo a premi e riconoscenze:

50 in totale tra di essi molti alla fotografia, spiccano con Le moulend de dede, La Piovra, Ritratto incompiuto di Chiara Bellini, Premio alla fotografia Festival di Salerno, Bocche Inutili sulla deportazione delle donne.

Ultimamente: Premio alla Piovra per le quattro stagioni Festival a Cosenza, Premio alla Fotografia ad Ariano Irpino, alla Città del Cinema, premio fotografia alla carriera.

Nino Celeste trascorre una vita passata dietro la macchina; la macchina strumento che tanto riserva.

Lui punta sull’illuminazione, dal greco “scrivere con la luce” e lui scrive l’atmosfera, il suo tono incorniciati da oscurità e luminosità, in un quadro chiamato commozione, eccitazione, trepidazione, emozione, lui è il poeta della luce epiteto affaincatogli nell’ambiente in cui si è mosso.

Questo poeta, facendo propria la luce tra paesaggi, scenografie e volti, ha saputo immortalare un panorama ricco di genti, collettività formate da singoli soggetti.

Un eloquente chiaro-scuro, tanto caro al Caravaggio, alla scuola fiamminga, il suo inchiostro.

Altri articoli