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Ambiente & Società

Il pastrocchio delle concessioni balneari

a rimetterci sarà il sud Italia

by Bruno Cimino

Durante la XVIII Legislatura (governo Mario Draghi), si sentì la necessità di rivedere le concessioni balneari. La motivazione, quando si devono prendere decisioni impopolari, era ed è sempre la stessa: “Ce lo chiede l’Europa”.

Ogni ragionamento in merito oramai potrebbe essere inutile poiché manca qualche mese alla scadenza delle concessioni, imposta dalla legge 118/2022 sul mercato e la concorrenza (G.U – 12 agosto 2022). 

Inutile pensare alle proroghe del governo Meloni che posticipava le concessioni, in scadenza alla fine del 2024, poiché il Consiglio di Stato ha dichiarato tale decisione illegittima. La direttiva Bolkestein, infatti, impone che le concessioni demaniali siano assegnate attraverso procedure di gara trasparenti e competitive. Pertanto, il Consiglio di Stato ha stabilito che i Comuni devono rapidamente avviare nuove gare per assegnarle.

Se sia un bene o un male è difficile dirlo. Siamo nelle mani delle decisioni politiche che fanno e disfano secondo logiche apparentemente giuste, ma che negli anni si rivelano inique decisioni.

In senso lato la direttiva del quasi centenario olandese Frederik Bolkestein che intende semplificare le procedure amministrative, eliminare l’eccesso di burocrazia, evitare le discriminazioni basate sulla nazionalità o per coloro che intendono stabilirsi in un altro paese europeo per prestare dei servizi è più che apprezzabile.

Tuttavia, le disposizioni in materia di stabilimenti balneari lasciano molti dubbi perché questa è una realtà economica strettamente legata alla sopravvivenza storica di oltre 7 mila aziende stagionali sparse lungo 7500 km di coste sabbiose italiane e sarebbe d’obbligo valutare i problemi cui andranno incontro quei gestori che da generazioni conducono tale attività, certamente come lavoro, ma in nome della tutela della più grande industria italiana: il turismo.

Chi ci rimetterebbe di più? Ma il meridione, ovviamente, come in quasi ogni legge varata per migliorare apparentemente l’interesse di “tutte le nazioni europee”. 

Molte di queste attività, nel Sud, sono a gestione familiare e dirette da donne.

Ecco di seguito qualche estratto pubblicato da MondoBalneare.com.

“Il maggior numero di stabilimenti balneari gestito da donne si trova in Calabria con il 31,3%, seguito da Friuli Venezia Giulia col 31%, Toscana col 28,8% e Lazio col 28,6%. Quanto alle imprese giovanili, i tassi di presenza più elevati si riscontrano nelle regioni del sud, sempre con la Calabria in testa (12,7% di imprese giovanili sul totale del numero di stabilimenti balneari), seguita da Basilicata (9,1%), Sicilia (8,4%) e Campania (8,1%)”.

Entrando nel merito del ruolo degli stabilimenti balneari ci sembra ovvio sottolineare che queste strutture mantengono la pulizia della spiaggia, presidiano, garantiscono sicurezza e, innanzitutto, offrono servizi ai turisti. 

Come finirà questo “pastrocchio” Bolkestein è difficile dirlo, certo è che molti sindaci dei comuni interessati si sono già messi di traverso ed intendono lasciare le cose come stanno.

Al netto del tifo cui parteggiare, il vero nemico, o ago della bilancia, sarà lo straripante aumento dei ricavi che lo Stato (ad oggi circa 100 milioni) perderebbe se tutto dovesse rimanere com’è.

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