Il 16 febbraio 1923 Howard Carter portò alla luce la camera funeraria di Tutankhamon, dopo quasi 3 mesi impiegati a sgomberarla dalle centinaia di oggetti che la riempivano, facendo attenzione a conservare il più possibile i sigilli con il cartiglio del faraone.
Il 28 ottobre 1935 Carter aprì il sarcofago più interno, portando alla luce per la prima volta dopo circa 3250 anni la maschera d’oro del faraone bambino, maschera che ad oggi si trova esposta al Museo egizio del Cairo.
La maschera è un manufatto di pregiata arte orafa che presenta la particolarità di due fori ai lobi delle orecchie, caratteristica questa riservata solo ai principi e alle donne.
Nel 2001 infatti una ricerca portò alla luce la scoperta che la maschera era stata adattata e riassemblata per la prematura morte del faraone ma che in realtà sarebbe appartenuta alla enigmatica regina Neferneferuaton, come risulta dal cartiglio posto sul retro e parzialmente cancellato.
La maschera è alta 54 centimetri, larga 39,3 e profonda 49, ed è costituita da due strati d’oro di alta caratura ma di differenti leghe; una più leggera per il volto e il collo ed una più pesante per il resto della maschera.
Il viso rappresenta un’immagine standardizzata di un faraone il quale indossa il nemes sormontato dalle insegne regali del cobra e dell’avvoltoio simbolo del potere sull’Alto e Basso Egitto. Nell’oro sono incastonati vetri colorati e gemme, tra cui lapislazzuli, quarzo, corniola, ossidiana, turchese, feldspato, amazzonite e faienice.
La barba fu trovata staccata e riallacciata successivamente grazie ad un perno di legno.
La parte posteriore reca dei geroglifici derivanti da una personalizzazione del capitolo CLI del libro dei morti.
Benedetta Giovannetti