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Ambiente & Società

LA “SINDROME ITALIANA” COLPISCE MOLTE DONNE DEI PAESI DELL’EST, AL RIENTRO NEL LORO PAESE.

Madri poco più che ventenni, piombate in case sconosciute a curare anziani malati, spesso in condizioni di isolamento, che al ritorno nel proprio Paese poi fanno fatica a reinserirsi in famiglia, a parlare con i figli perché si sentono invecchiate, come se avessero già dato tutto al nostro “Bel Paese”.

In Italia e negli altri Paesi europei in cui queste donne emigrano, molto spesso il lavoro è usurante. Riportano grossi problemi di salute perché non si può lavorare 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza vita privata.

Due psichiatri ucraini Andriy Kiselyov e Anatoliy Faifryc notarono che diverse donne tornate dall’Italia manifestavano sindromi depressive gravi e definirono questo malessere “sindrome italiana” o “mal

d’Italia”.

Molte di loro al rientro in Romania finiscono in cliniche psichiatriche per curare questa “patologia”: un deperimento psico-fisico dovuto al dolore per la lontananza dai figli, alle preoccupazioni famigliari e alle condizioni di lavoro che sono costrette a sopportare. Questo problema non è diffuso solo in Romania ma in tutti i paesi dell’est.

La depressione della Sindrome Italia si manifesta in modo molto grave e nelle forme più critiche può portare anche al suicidio. Le cause, sono svariate e differenti, ma sicuramente tra le principali vi sono:

la lontananza da casa

la mancanza degli affetti lasciati nel proprio paese di origine

non conoscere la lingua del paese in cui ci si è trasferiti per lavorare

non avere stimoli lavorativi

sfruttamento a parte di famiglie italiane, come per esempio il sovraccarico di ore lavorative, l’assenza di riposo, la scarsa retribuzione sotto il minimo stabilito per legge

la mancanza di interazioni, amicizie e affetti nel nuovo paese

E poi c’è la mancanza di comunicazione per i figli delle badanti che subiscono tale distacco, il non poter immaginare cosa fa la madre nell’altro Paese. “I bambini lasciati in Romania pensano di essere stati abbandonati” Aspettano il ritorno della madre, ma passano anni e questa lontananza li uccide poco per volta.

Spesso pensiamo al nostro Paese, ma dimentichiamo di chiederci cosa c’è dall’altra parte, cosa provano i figli di queste lavoratrici, a cui diventa difficile spiegare che se ne sono andate per lavorare, guadagnare, per garantire loro una vita migliore. Pochi riescono davvero a corrispondere il sogno di “una vita migliore” che i loro genitori cercano di costruire loro, perché crescono senza madre e senza padre. Senza guida. I “left behind” sono oltre 350 mila in Romania, secondo l’Unicef.

Sono tanti i sacrifici che si nascondono dietro alla scelta di queste donne che nel loro paese non trovano lavoro. Ci vuole coraggio, amore, generosità e forse un po’ di incoscienza per lasciare la propria terra e i propri figli i propri cari e tentare la sorte in un Paese straniero, l’Italia appunto, dove risiedono oggi circa 1 milione e 200 mila romeni, secondo i dati Istat.

La crescita della domanda di servizi di assistenza, secondo il Censis, porterà il numero degli attuali collaboratori domestici a più di 2 milioni entro il 2030, e nel frattempo vedremo crescere la piaga dei figli abbandonati e del “Mal d’Italia”.

Fontana Marisa Paola

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